Nel 2016-17 il risultato è +3 milioni ma i guadagni sul mercato sono raddoppiati e qualcuno ci gioca… i debiti netti toccano 2,1 miliardi
Dipendiamo troppo dai proventi tv e cresciamo poco negli altri settori, sistemiamo apparentemente i conti con le plusvalenze, non tutte cristalline, continuiamo a ingrossare le tasche dei calciatori (e dei loro agenti), ci indebitiamo sempre di più soprattutto con le banche, il Fisco e i fornitori, in alcuni casi ci indebitiamo ancor prima di diventare proprietari. La Serie A è il traino di tutto il movimento ma non gode di ottima salute. Lo certifica l’inchiesta annuale della Gazzetta sui bilanci dei club. Il paradosso è che nella scorsa stagione il risultato netto aggregato d’esercizio è stato positivo, come non accadeva dal 2000, eppure i debiti al netto dei crediti hanno sfondato per la prima volta il muro dei 2 miliardi. Non tragga in inganno il +3 milioni della Serie A 2016-17 all’ultima riga del conto economico. Innanzitutto perché gli stessi amministratori di club non guardano a quello per capire se le cose vanno bene oppure no: contano i flussi di cassa e quelli piangono sempre. E poi perché la passata stagione è stata «drogata» dalle cessioni-record di due estati fa, quella di Pogba dalla Juventus al Manchester United (96,5 milioni di plusvalenza, 72,5 al netto delle commissioni di Raiola e dell’attualizzazione del prezzo) e quella di Higuain dal Napoli alla Juventus (86 milioni di plusvalenza), senza dimenticare che i bianconeri hanno potuto beneficiare a livello contabile dell’intero guadagno di Pogba, visto che la plusvalenza si iscrive tutta e subito, e della spalmatura del costo di Higuain, considerato che gli acquisti si ammortizzano.
RESA DEI CONTI Più in generale, da una stagione all’altra le plusvalenze della Serie A sono raddoppiate: dai 347 milioni del 2015-16 ai 690 del 2016-17. Ben vengano i colpi di Pogba o Higuain, il guaio è quando le plusvalenze non sono altro che operazioni di cosmesi contabile, in cui il denaro non si vede e i valori dei calciatori vengono gonfiati artatamente tra club che si ricambiano il favore. Prima o poi la resa dei conti arriva. Non è un caso se l’indebitamento del massimo campionato sia arrivato a 2,1 miliardi di euro. Beninteso, si tratta di debiti al netto dei crediti (si pensi ai saldi da calciomercato): quelli lordi sarebbero ormai sulla soglia di 3,5 miliardi. Nel 2015-16 i debiti netti erano 1,871 miliardi, l’anno prima 1,724. È un’escalation. Le società fanno la coda in banca: farsi scontare i contratti televisivi e di sponsorizzazione è una prassi, anzi una necessità insopprimibile, come dimostra l’agitazione di molti dirigenti in questi giorni per via delle incertezze sulla partita televisiva con Mediapro, chiamata a garantire oltre un miliardo a stagione. Fatto sta che i debiti verso le banche e gli istituti di factoring sono arrivati a 1,289 miliardi: erano 1,175 nel 2015-16 e sotto il miliardo (977 milioni) cinque anni fa. Un po’ di sofferenza c’è pure nei pagamenti dei fornitori: i debiti sono passati dai 371 milioni (già preoccupanti) del 2015-16 ai 401 del 2016-17. E occhio a certe pendenze col Fisco. Il Chievo ha sul groppone quasi 20 milioni, l’Udinese ha appena transato per 11,7 milioni, il Genoa sta pagando una pesantissima rateizzazione tra Iva e Irap pregresse, il cui residuo è poco meno di 60 milioni. Sono uscite che possono complicare, in certi casi, la strada del risanamento.
TELEDIPENDENZA Gli utili, talvolta, rischiano di essere fuorvianti. Nonostante un conto economico in equilibrio, il Palermo è stato trascinato in tribunale dalla Procura che ha presentato un’istanza di fallimento: a giorni è attesa la sentenza. Sono veri, verissimi i ricchi profitti festeggiati dalle prime due della classe: +66,6 milioni il Napoli, +42,6 la Juve, grazie alle plusvalenze e ai premi Champions. Performance straordinarie che, in controluce, mettono a nudo i limiti del sistema calcio in Italia. È vero che il fatturato della Serie A cresce – dai 2 miliardi (2,042) del 2015-16 ai quasi 2,3 (2,267) dell’ultima stagione – ma i diritti tv (compresi i proventi da coppe europee) pesano per il 56% (1,262 miliardi) contro il 22% del segmento commerciale (496 milioni) e appena il 10% dello stadio (230 milioni); il restante 12% è relativo ad altri ricavi, inclusi quelli non monetari come la capitalizzazione dei costi del vivaio. E la crescita di un centinaio di milioni dell’area marketing è dovuta per lo più ai contratti tra l’Inter e la casa madre Suning. Insomma, resta sul tavolo il problema dello sviluppo delle fonti di entrata.
LA CASSA BRUCIA Spesse volte la continuità aziendale si basa sulla cessione degli asset-calciatori, con gli azionisti che faticano a supportare i club: nel corso del 2016-17 gli interventi dei soci – tra versamenti in conto capitale e prestiti – sono stati di circa 380 milioni, la metà dei quali da parte della stessa Suning. D’altronde, si fatica a calmierare le spese, anche per la necessità di agganciare la competitività internazionale: i costi della Serie A sono passati da 2,5 a 2,7 miliardi e gli stipendi totali hanno ormai raggiunto quota 1,4 miliardi (erano meno di 1,2 cinque anni fa). Con questi parametri la sostenibilità corre sempre sul filo, in alcuni casi è pesantemente compromessa. La gestione ordinaria brucia cassa e ci si inventa di tutto pur di raddrizzare la barra, anche perché ci sono i controlli da rispettare. Per la prossima stagione quelli della Figc saranno ancora più stringenti: l’indice di liquidità (rapporto tra debiti e crediti a breve), utile per misurare la capacità di un club di far fronte ai fabbisogni della stagione, è uno spauracchio per molti.
VIRTUOSI Certo, gli esempi positivi non mancano. I conti in regola di chi occupa le prime due posizioni della classifica sul campo dimostrano che si possono combinare efficienza e risultati, ma nella fascia alta la coperta è troppo corta, se si considerano le difficoltà della Roma e delle milanesi. Tra le medio-piccole la valorizzazione dei propri talenti è ancor di più un mantra: c’è chi è abilissimo come Atalanta e Sampdoria. La differenza, in termini di virtuosismi, la fa la gestione caratteristica, escluso il mercato: le conduzioni più equilibrate sono quelle di Torino, Cagliari e Crotone, non a caso le uniche società di Serie A – assieme al Napoli – a non fare ricorso al credito bancario. Mosche bianche.
fonte sito : http://www.gazzetta.it/
di Marco Iaria
Sharing is caring!