Di Stefano Lesti – Se è vero com’è vero che la conoscenza rappresenti la prima forma della libertà è altrettanto assodato che senza una corretta informazione cadiamo chi più e chi meno in preda alle diverse forme di schiavitù, schiacciati e sottoposti a chi per varie ragioni, calcolo e mero profitto, decide cosa farci sapere e cosa no, cosa dirci e sopratutto, a seconda degli scopi prefissi, in quale modo e maniera dircelo.

 

In sintesi, se nessuno di dicesse e ti dimostrasse che il doping ti avvelena ti doperesti anche tu pensando ingenuamente che il doping possa farti bene, magari solo per consentirti di fare una passeggiata al parco senza sentire il peso degli anni che passano.

 

Appare del tutto evidente quindi che l’informazione e in prima istanza la sua indipendenza assumqno un valore e un ruolo principale assoluto che riguarda il quadro generale relativo all’annosa battaglia prodotta contro l’uso di doping da parte dell’intera società civile, oltre che, mele marce a parte, dell’intero mondo sportivo.

 

Come però ci insegnano da millenni filosofi e sapienti dentro ogni cosa creata e esistente c’è un dualismo insito, caratterizzato da una sorta di contemporanea doppia e contrastante presenza del bene e del male.

 

Così, come ricordano i colori del bianco e del nero del Tao orientale, il male, l’altra faccia della medaglia relativa ai media di massa, deriva dall’aver tanto esacerbato e spettacolarizzato certi sport, tanto che in alcuni di essi il doping sembrerebbe essere diventato “quasi del tutto necessario se non addirittura sistematico”. A dirlo sono stati diversi ex atleti chi accusato e chi radiato per uso di doping, oltre alle sentenze dei tribunali di metà del mondo.

 

Come tutto ciò sia stato possibile in passato e come possa essere attuale ancora oggi è presto spiegato, infatti ci vuole poco a tacere al mondo intero una notizia, sopratutto quando le voci di chi racconta quel che accade vengono zittite e screditate, o comunque impedite nell’espressione.

 

Il doping nello sport è una piaga sociale in quanto investe e colpisce un gran numero di persone, sopratutto i più giovani che, ribelli e inesperti quanto ingenui e ancora più spesso creduloni, si fidano di chi consiglia loro l’uso di farmaci e pratiche opposte ai valori sia dello sport che degli ordinamenti e le regole  di diversi Paesi e federazioni sportive.

 

Il caso del ciclista quattordicenne colpito lo scorso anno da severissime pene dopo essere risultato positivo al doping dopo un’esame a sospresa delle urine, pene inflitte dagli organi del Coni su esplicita raccomandazione e richiesta dalla Procura della Repubblica responsabile, rende chiara la gravità e la consistenza del problema nel nostro Paese.

 

Se i giornalisti non avessero denunciato il fatto chi lo avrebbe mai potuto sapere? Chi avrebbe preso provvedimenti severi se si fosse sentito libero di agire in barba alle regole operando di nascosto forse al fine di negare l’evidenza, chi ne avrebbe potuto trarre guadagno in un modo o nell’altro? Politica? Criminalità? Speculatori?

 

Ci sono alcuni Paesi esteri dove fare la lotta al doping è meno conveniente che tollerarne l’uso, addirittura ve ne erano o probabilmente ve ne sono ancora altri in cui il doping fa parte integrante del sistema nazionale sportivo. Cosa potremmo fare di altro noi media se non tenere sott’occhio il panorama per denunciare il marcio al proprio interno?

 

Cosa potremmo noi società sportive se non darci altrettanto da fare in tal senso? E cosa invece potrebbero gli atleti e gli appassionati? Cosa fanno le Istituzioni internazionali e nazionali siano esse pubbliche che sportive? Come stiamo affrontando questo cancro all’interno del mondo dello sport?

 

Cosa altro potrebbero fare una società sportiva e gli atleti che ne fanno parte se non informarsi da una parte e informare a loro volta dall’altra tutti gli altri al di fuori del nostro giardino fiorito?

 

Oltre naturalmente chiudere ogni porta in faccia a possibili seduzioni derivanti dalla inverosimile ambizione di poter accrescere le proprie capacità e potenza fisica, e di ottenere trofei e medaglie non solo forzando la natura quanto assumendo veri e propri veleni che, come abbiamo purtroppo già visto spesso, conducono atleti e ex atleti a morti premature quasi sempre dovute a tumori e a sindromi varie degenerative che ti uccidono lentamente e inesorabilmente attaccando i tuoi organi interni senza concederti alcuna possibilità di scampo.

 

Cosa fanno in tal senso anche i dottori e i medici? Il loro ruolo all’interno della battaglia olntro il doping è similmente importante a quello svolto esercitato sia dai mass media che dai liberi mezzi di informazione, anzi, lo è molto di più di quello dei telegiornali nazionali e dei singoli giornalisti, perchè sui medici ricade la principale responsabilità nel bene e nel male sull’uso o meno di doping, così come le responsabilità sulla prevenzione e sopratutto sulla repressione di questo fenomeno sempre più incombente e tentacolare concerne in primis Istituzioni pubbliche e sportive.

 

Purtroppo, va detto anche se non enfatizzato e calcato più di tanto, che un po come quella dei media di massa anche la loro funzione risulta essere stata e potenzialmente esserlo a tutt’oggi assai ambigua. Tra loro ce ne sono stati in passato che non solo consigliavano agli atleti di doparsi ma, peggio ancora, non li mettevano nemmeno in guardia dai rischi che stavano correndo.

 

Responsabilità pesanti di fronte alle quali nessuno può più fare finta di niente, sopratutto i governanti e i Parlamenti che dovrebbero finalmente mettere in piedi leggi che fossero in grado di arginare, isolare e poi spazzare via per sempre il doping dal globo terracqueo. Peccato che la criminalità col doping ci guadagni più che con i proventi dal traffico di droga e di armi.

 

Il doping? Per me è no!

 

Stefano Lesti

 

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