Oggi è la giornata internazionale per l’eliminazione della brutalità contro le donne, istituita partendo dall’assunto che essa ha sempre rappresentato la “violenza dei diritti umani”.
La causa della sopraffazione contro le donne ha origini lontane fomentate da tradizioni e credenze che, attraverso i secoli, hanno provato in ogni modo a giustificare la violenza subìta dalle donne fin dall’infanzia.
Dall’inizio dell’anno a oggi si contano ben 92 “femminicidi”, tutti compiuti per opera di mariti, compagni, fidanzati ed ex, i quali, agli albori della relazione, vantavano amore e seria progettualità, lungi dall’ essere identificati nell’immediato come essere violenti, dotati di animo arido e malati di possesso.
Gli uomini di cui parliamo sono soggetti incapaci di adeguarsi alle regole dei buoni sentimenti e alla costruzione di essi, sono vittime delle loro stesse frustrazioni, capaci di arenarsi dinnanzi alla sana crescita emotiva posta da chi li ama. Uomini malati di egocentrismo e preda della rabbia accecante, passati alla cronaca per aver sporcato la parola “ amore” con il sangue innocente.
L’amore è un sentimento nobile. Esso si nutre da sempre della complicità sana della coppia, nella condivisione degli eventi e la realizzazione dei progetti dignitosi, per se stessi e per essere tramandato ai figli, come il migliore degli insegnamenti. Chiede solo di essere fortificato attraverso la gentilezza e il rispetto, affinché diventi sempre più rigoglioso e indistruttibile dinnanzi alle difficoltà quotidiane e al passare del tempo.
L’amore non ammette “ servitori né padroni” e sopratutto non semina vittime e non assolve i carnefici.
Nella coppia disfunzionale e malata, la relazione è dominata dal carnefice il quale incarna in modo subdolo ciò che la vittima ha sempre desiderato. Egli inizialmente, appare un uomo degno di tale appellativo. E’ gentile, romantico a tratti, interessato a conoscere l’essenza dell’amata a cui regalare momenti magici che ispirano fiducia, restituiscono bellezza alla vita e spesso hanno il potere di rimarginare antiche ferite.
Ogni donna vorrebbe prolungare nel tempo quei ricordi che via via… si affievoliscono, mediante la conoscenza dell’altro e, ancora prima di ammettere di essere diventata vittima, le notti perdono l’immaginario rosa, i colori appaiono foschi e tetri e ogni cosa assume le sembianze del dolore e dell’inquietudine.
La “colpevolizzazione” è l’arma preferita usata dal carnefice per affossare la sua vittima, come fosse l’iniziazione del rito, prima della consacrazione al martirio. Resa inerme e isolata dai parenti e gli amici, la vittima smarrisce la propria essenza e viene imprigionata ai soli voleri del carnefice, nella consapevolezza del ruolo assunto.
Ella è destinata a sopravvivere al dolore inferto, per amore dei figli.
Ogni lacrima versata da una donna in simili circostanze, rappresenta una richiesta esplicita a Dio, di non perire per mano di chi , una volta, le aveva giurato amore.
Quale destino è toccato alle donne che hanno avuto il coraggio di ribellarsi alla sopraffazione di un uomo? Quella di morire ai bordi di una strada? Bruciate dentro la propria auto? O accoltellate davanti agli occhi increduli dei propri figli? Uccise anche dalle istituzioni!
Quali sono dunque le pene immediate per costoro, atte a proteggere le vittime fin dalla prima denuncia? Quella del divieto di avvicinarsi alla vittima? Un uomo rabbioso che ha già manifestato violenza alla propria donna dovrebbe essere condotto nell’immediato, presso strutture adeguate e dunque ricevere cure appropriate per disintossicarsi dall’odio e dal narcisismo esasperato. Ma ancora così non è.
Quali costrizioni verbali si sono rivelate idonee a salvaguardare appieno le donne che hanno subito violenza dal proprio uomo? E quante ancora muoiono nel silenzio della propria anima?…Tante, troppe come le lacrime versate da chi le ha amate.
Non si nasce tiranni, purtroppo lo si diventa a seguito della grande incapacità della società di educare al sentimento, fin da bambini. E adesso siamo tutti chiamati a correre ai ripari e metterne seriamente fine.
Lo dobbiamo a tutte le vittime!
Gabriella Canfarotta
(Fonte fotografia: Novara Today)