I più conoscono la Calabria soltanto dalle cronache che ne parlano a proposito, direi soprattutto a sproposito, in relazione ai guai e i drammi di una terra meravigliosa e ricca di storia e cultura, natura e tessuto umano dei quali anche si scrive quasi ed esclusivamente poco e peggio ancora male, al limite della diffamazione e la calunnia.
Ma per fortuna, a controbilanciare i luoghi comuni e le brutte notizie ci sono gli scrittori, gli artisti e tutti coloro che la conoscono vivendoci e non per sentito dire: sono loro le speranze certe sia di riscatto che di slanci verso un presente e un futuro potenzialmente variopinto come i suoi colori, come la sua flora straordinaria che tramite il libro di Mariantonia Crupi parlano, si esprimono e ricordano le sue origini, le sue tradizioni e quei valori fondanti e originari propri di una società rurale e agricola alla quale tutti noi, Europa compresa dobbiamo molto, al punto da dover quanto meno provare a restituirle dignità e ogni onore che la Calabria merita di ricevere dopo aver dato e dato soltanto senza ricevere nulla in cambio.
E c’è anche e soprattutto il cuore pulsante della Calabria composto dagli uomini e dalle donne che hanno lasciato la loro terra in cerca di fortuna e come amanti traditi e delusi ne hanno nostalgia dal momento che come un po’ tutto il Sud sono stati abbandonati oltre che dalle istituzioni anche apparentemente da Dio.
Mariantonia Crupi, professoressa ora in pensione, soprannominata dai suoi alunni: “matita rossa e blù” nasce ad Acquaro, in provincia di Vibo Valentia, risiede attualmente a Pizzo Calabro ed è stata docente di Lingua e Letteratura Francese sia in Italia che in Francia.
E io ho avuto il piacere e il privilegio di incontrarla e conoscerla al BukRomance – Il Festival della Letteratura Romantica di Roma, organizzato da Emilio Biancadoro, apprezzato scrittore, giunto alla seconda edizione, durante il quale ha presentato al pubblico presente: “I LIMONI E LA MALVAROSA”, il romanzo d’esordio e autobiografico impreziosito dalla copertina realizzata in tecnica di acquarello dalla pittrice Marisa Costa, che trae spunto da una vita vissuta e anche sofferta da lei stessa oltre che dalla sua famiglia.
Di lei mi hanno colpito sia la luce intensa dello sguardo che ascoltandola la sua forza vitale e morale unita all’autorevolezza che è propria si di una donna del Sud, ma contestualmente a una donna che ha viaggiato e attraverso lo studio e l’impegno civile si è fatta ammirare e apprezzare anche all’estero, in Francia dove per tanti anni ha insegnato, recando con sé sia il suo amore per lo studio e la formazione che per la sua terra lontana che oltre a non aver mai dimenticato ha onorato sfatando i falsi miti e per l’appunto quei luoghi comuni che a tutt’oggi la imprigionano in stereotipi che oltre a non appartenergli ha voluto contrastare.
Una famiglia oltre a una storia esemplari che al pari di un tesoro non potevano nè dovevano rimanere celate nell’album dei ricordi personali o comunque circoscritti in un contesto familiare, ma essere raccontate e tramandate alle giovani generazioni che mai come in questi tempi hanno bisogno di memoria da una parte e di slanci verso il futuro dall’altra, ma soprattutto di esempi e punti di riferimento certi, visibili e tangibili.
Ma per introdurti la storia e i valori “calabri”, direi italiani e universali, trattati dalla professoressa Crupi con una scrittura snella, eloquente e magnifica anche dal mio punto di vista di poeta e amante della poesia, nonché niente affatto retorica e inutilmente prolissa lascio la parola… a Giovanni Ierfone, mio giovane e bravissimo collega giornalista e suo compaesano, che nella prefazione pubblicata nella quarta pagina di copertina ha scritto:
“Il libro è Acquaro, il paese dell’autrice, ai piedi delle Serre calabresi, e narra le vicende di tre generazioni, quasi tutte filtrate e declinate dalle vite di donne: popolane, borghesi, proletarie, aristocratiche, fragili e delicate, forti e amorevoli, unite e separate dal dolore, ma sempre donne.
E così, Diamante, Apollonia, Maruzza, Emma e la greca Vasiliki, attraversano il tempo, vivono, si emancipano o si perdono, attraverso esperienze dure e difficili, il degrado e il riscatto, anche al prezzo della solitudine.
Su tutto predomina, evolve, palpita, una scrittura evocativa, elegante, magmatica e densa, quasi materica, eppure morbida, una scrittura che non esprime gli eventi, i moti dell’animo, la causalità e i conflitti in una scala di sfumature, di intensità che pure esistono, ma che vengono via via nominate e rese reali attraverso la consistenza delle cose, degli oggetti, dei fiori, delle piante, dei cibi, delle impossibili maree del fiume Amello, del suo canto d’acqua che si assapora come la vita, e possiede voci e sensazioni.”
Mentre di sè stessa dice:
“Ritengo altamente onorevole aver fatto tutto questo della mia vita. Non è stato semplice.
Nella scuola ho lottato contro la perversione della corruzione, la pochezza del disimpegno, la piccineria, la desertificazione della cultura, la banalità del male, contro personalità sedate da un bieco qualunquismo, ogni sorta di ingiustizia, beceri abusi di potere.
Non posso affermare che tutto ciò che la scuola predica diventi il suo credo.
Permane una sorta di pragmatismo pernicioso che riduce gli alunni a vuoti contenitori di sciocchezze e luoghi comuni, e i docenti esangui sostenitori delle politiche attuali.
Pochi sono i docenti che sanno e intendono -pur tra mille difficoltà- guardare alla scuola come ad un ricco laboratorio di idee e di pensiero, e agli allievi come persone cui insegnare la dignità di ogni singolo comportamento in quanto cittadini.
Ma, forse, su questo scriverò un nuovo libro.”
Grazie professoressa, anima preziosa e bellissima della bellissima e preziosa terra di Calabria, terra d’Italia! Ad maiora
Brano tratto da “I limoni e la malvarosa”, il fiume Amello, Acquaro
“Maruzza sedeva nella luce dorata del pomeriggio, accanto alla porta finestra che dava sul fiume, e lo osservò correre, placido e profondo, lo seguì con lo sguardo fin dove, attraversato il ponte, si perdeva nel folto dei pioppi, fra alte siepi di biancospino.
Più avanti, si faceva strada fra gli orti, e poi, più a valle, fra uliveti e vigneti, e correva più forte e rapido scivolando sopra le rocce, dando vita a fresche cascatelle e piccoli stagni.
…Ciccio ripose le bottiglie nella piccola ansa del fiume, al fresco, circondandole, affinché la corrente non le sospingesse, di piccole pietre ammonticchiate, dove l’acqua della cascatella, di un bel verde giada, ricadeva spumeggiante, per poi scivolare fra le rocce chiare, trafitto dai raggi del sole, e riluceva come un gioiello, ornando di sé le piccole rive sabbiose.
…Al di là del patio, il giardino pieno di fiori, una armicera coperta di caprifoglio, e il verde dei faggi e dei pini rilucevano di una luce sbiadita, le ombre delle nuvole rotolavano sugli alberi,sul viale bordato di rododendri, e intanto giungeva fino a loro ogni singolo alito di brezza proveniente dal fiume.”
IMMAGINI TRATTE DALL’ALBUM DI FAMIGLIA, PER GENTILE CONCESSIONE DELL’AUTRICE