Amo i solitari, i diversi, quelli che non incontri mai. Quelli persi, andati, spiritati, fottuti. Quelli con l’anima in fiamme.
Henry Charles Bukowski
Cari amici, eccomi in compagnia di un grande uomo, un signore d’altri tempi: Alessandro Serpetti. Immaginatevi una persona onesta, colta e con un bagaglio infinito di esperienze. Un uomo che sa parlare il cinese mandarino, l’inglese come il romanesco e tante altre lingue. Conosce le culture, la politica, la storia, la filosofia e la chimica. Ha vissuto a Hong Kong, in Texas, in Gran Bretagna e non solo.
Un’anima sublime, tutti dovremmo trarre esempio dalla sua rettitudine. È un onore per me presentarvi Alessandro…
Buona lettura.
Chi è Alessandro Serpetti?
Difficile descrivere se stessi in maniera del tutto oggettiva, si tende a essere autoreferenziali. Proverò a essere “onesto”. Un carattere irrequieto sempre alla ricerca di se stesso e del significato della vita, di un equilibrio tra l’essere e il voler essere. Di origine, possiamo dire, etrusca, nato nella Tuscia da genitori della Maremma. Tra i miei primi ricordi ci sono i racconti di mio padre appassionato di arte e storia degli Etruschi. Spesso mi portava a visitare le tombe di Sovana e Vulci. Il mio interesse però era anche per le scienze, la chimica in particolare. Dopo il liceo classico mi sono laureato in Chimica all’Università di Roma, dove sono poi rimasto per oltre un anno come ricercatore e come consulente presso l’Istituto di Microbiologia. Erano anni difficili, l’Università era spesso teatro di manifestazioni, scioperi e scontri, a volte violenti. Si lavorava male e quando una multinazionale mi ha offerto una posizione all’estero, ho subito accettato. È iniziato così il mio peregrinare per il mondo: prima tappa Hong Kong, dopo tre anni trasferito in Sud Africa, poi in Gran Bretagna per nove anni; di nuovo Hong Kong e Cina come amministratore delegato di una grande società petrolchimica, una Joint venture con cinesi e sud coreani. Anni per me importanti, dove tra l’altro ho ricevuto vari incarichi di livello dal governo locale: presidente della Chamber of Commerce, vice presidente dell’Environmental Protection Commitee, membro direttivo del China Committee e altro. Posso dire, con la mia consueta modestia, di essere diventato un esperto di Cina. Dopo quasi un decennio, ancora non stanco di girare, andai in Texas e infine a Rio de Janeiro per cinque anni a dirigere la costruzione di un complesso petrolchimico da un miliardo di dollari. Come se non bastasse, sono anche stato eletto membro del consiglio di amministrazione in una società venezuelana che produce fertilizzanti. Non c’era modo di annoiarsi! Sono stati anni meravigliosi e difficilissimi allo stesso tempo, avevo incarichi di alta responsabilità che comportavano difficoltà, imprevisti e molti rischi, ho dovuto lottare con le unghie e i denti, spesso su due fronti. E ho quasi sempre vinto (peccato di autoreferenzialità?). Ho fatto esperienze straordinarie, nel bene e nel male, e più di una volta ho visto la morte da vicino. Qualche esempio? Un rapimento cui sono scampato miracolosamente in Venezuela e un incidente aereo in Brasile. Eccitante vero? Non ho mai avuto alcun rimpianto e non ricordo di aver provato la nostalgia di casa. Sono partito e non sono più tornato sino alla pensione. I luoghi dove sono vissuto, le culture che ho conosciuto, le esperienze fatte, le ho in parte sfruttate nel racconto perché penso che per essere credibili sia preferibile parlare di cose di cui si ha diretta esperienza. Ora vivo tra Roma e la Toscana ma in fondo al mio animo sono cittadino del mondo. Impiego il mio tempo studiando la fisica quantistica, la storia delle religioni, mi piace la fotografia, viaggiare, la vela. E naturalmente scrivere.
Pertinenze d’ombra è stato il mio romanzo d’esordio anche se in realtà due miei brevi racconti erano stati pubblicati con uno pseudonimo e ho scritto anche un trattato scientifico di Chimica Fisica. Ma erano altri tempi.
Com’è nato questo romanzo?
Avevo in mente il canovaccio del racconto da molti anni ma mi mancava la spinta per iniziare a scrivere. Poi un giorno mi è capitato di vedere in un museo di Orbetello il “Frontone di Talamone” con la scena finale del mito dei “Sette a Tebe”. Mi sono riaffiorate alla memoria le tragedie di Eschilo e Sofocle, la lotta dell’uomo per sottrarsi al volere malevolo degli dei, l’ineluttabilità del fato. È scattata la molla, la spinta che mi serviva. Ho iniziato a scrivere un racconto drammatico che spazia tra gli anni ‘70 e ‘90 del secolo scorso, intrecciandosi con gli eventi storici del periodo. I protagonisti, Giulio e Marta, due giovani al fiorire del loro grande amore, vivono gioie, hanno speranze, progetti per il loro futuro insieme. Un triste giorno sono vittime del caso avverso, eventi che mai avrebbero immaginato li portano a grandi sofferenze, a perdere la loro innocenza, i loro ideali, cadono in preda a risentimento, superbia, autocommiserazione e commettono errori che stravolgono la loro vita. E come nelle tragedie di Sofocle, lottano per sottrarsi a un fato misterioso e subdolo. Le vicende del racconto iniziano a Roma e proseguono a Milano, poi ci portano in Cina, negli USA, in Inghilterra, in Brasile. Il romanzo non ha fini morali o didattici, è una storia d’amore che vuole emozionare il lettore, ma è anche un thriller e in parte “spy story” con un finale del tutto inatteso.
Chi è lo scrittore?
Lo scrittore è uno che con la sua creazione trasmette emozioni, sensazioni, che sa coinvolgere il lettore facendolo immedesimare nelle vicende e nei protagonisti. Ho scritto Pertinenze d’ombra perché ne sentivo la necessità, dovevo liberare idee e sentimenti che vagavano nella mia immaginazione, scrivere è stata una sorta di liberazione, i personaggi si sono materializzati quasi spontaneamente lungo la stesura del racconto. Mi sembra di averli sempre conosciuti, sono vivi.
I tuoi protagonisti soffrono. I loro comportamenti…
La nostra società è piena di contradizioni, ci impone schemi, comportamenti, ma non ci indica più ideali. Vogliamo tutto e subito, non accettiamo sforzi per raggiungere o ottenere quello che desideriamo, ogni cosa ci sembra dovuta. Tanti diritti, pochi doveri. Da qui nasce l’incapacità di usare la nostra vita per un fine che valga la pena e ai primi ostacoli rischiamo di crollare. Giulio è frutto del suo tempo, inizio anni ‘70, un periodo in evoluzione (o dovremmo dire involuzione?) con grandi cambiamenti, molte attese e anche confusione e delusioni. Quando è trascinato in un vortice drammatico di eventi, rimane nudo e cade. Pensava di avere un carattere forte capace di dominare gli eventi, ma si sbagliava. Come in una tragedia greca è travolto, ramoscello indifeso, dalla corrente impetuosa della vita che se ne frega delle sciagure umane.
Il ruolo delle donne…
Le donne sono protagoniste nel racconto: c’è Marta, donna ferita al cuore ma capace di risollevarsi e riprendersi la vita. Ci sono le sue amiche, Silvia l’intellettuale che s’innamora di lei, Vittoria, la bambina adolescente che inconsapevolmente è all’origine del dramma di Giulio e Marta. Sono loro che guidano quasi tutta la prima parte del libro con le loro emozioni, le loro aspettative spesso tradite dagli eventi, hanno un ruolo fondamentale nello svolgersi del romanzo. Com’è giusto che sia: amo e rispetto tutte le donne, le stimo, le ammiro e le ritengo le vere protagoniste della vita di tutti noi.
Quali autori ti hanno incantato?
Moltissimi, da Pavese a Buzzati, da Verga a Morante. Poi Harper Lee, J.Steinbeck, J.Joyce, Carlo Levi, Pirandello, E. Bronte, D.H.Lawrence, Somerset Maughan, G.Greene. Come si fa a elencarli tutti? Una scrittrice americana mi ha particolarmente entusiasmato e in un certo senso influenzato ai tempi del liceo: Ayn Rand, poco nota in Italia se non per il romanzo La fonte meravigliosa.
Un sogno nel cassetto?
Scrivere e pubblicare il mio prossimo romanzo. Un racconto dove fantasia, scienza e realtà s’intrecciano attraverso le vicende dei personaggi. Vorrei anche tornare a viaggiare, ho nostalgia del mare selvaggio delle Filippine, del coro di mille insetti nelle notti africane, della foresta lungo L’Orinoco, i silenzi nelle sconfinate colline della Mongolia Interna, la maestosità terrificante della Grande Muraglia, la solitudine delle brughiere intorno a Haworth, borgo natio delle sorelle Bronte.
Speranze per il futuro?
La pandemia ci ha privato di una parte della nostra libertà, ma soprattutto ha steso un velo d’incertezza sul futuro, ci ha rubato parte della speranza nel domani, di fare, di progredire, di goderci appieno la vita. Quando usciremo da questo incubo, spero che tutti noi impareremo ad apprezzare ciò che abbiamo, le piccole gioie, le cose semplici, la stretta di mano di un amico, il sorriso di un bimbo, un tramonto sul mare. Dovremo rivedere i nostri valori, meno corsa affannosa al successo, al denaro, al potere, impariamo a rispettare di più gli altri, gettiamo lo sguardo oltre il nostro limitato ed egoistico orizzonte: il mondo è grande. Usiamo un po’ di umiltà abbandonando la pretesa di essere sempre nel giusto e di poter vivere in eterno. Un microscopico invisibile parassita ci ha mostrato come siamo tutti appesi a un filo sin troppo sottile.
Michela Tanfoglio