8 marzo. Una data da ricordare in ogni momento dell’anno. La donna italiana d’oggi è il risultato dei diritti conquistati dalle generazioni al femminile che l’hanno preceduta. Come ho scritto nei precedenti articoli, grazie alla scolarizzazione, alla legge sull’aborto, al diritto di divorziare e alla scelta personale di essere o non essere madre, le donne hanno potuto godere dell’istruzione paritaria e del diritto di decidere cosa fare del proprio corpo e del proprio futuro.
È aberrante pensare che in Italia fino al 1981 esistesse ancora il delitto d’onore e che ancora non si goda appieno della parità di genere.
Questo vale per tutta l’umanità, ma oggi parliamo di donne e di un’Italia popolata soprattutto dal cosiddetto “sesso debole”. Ma debole di cosa? Da dove nasce questo concetto? Dai Testi Sacri? Dal patriarcato?
Lungi da me l’accusare il genere maschile, siamo tutti figli della stessa terra, trasciniamo traumi atavici che ci inducono a essere simili sia nella gioia, che nel dolore, ma in un mondo dove l’uomo, inteso come maschio, l’ha sempre fatta da padrone, le donne, invece di stringersi e sostenersi, dal secondo dopoguerra sono diventate le peggiori nemiche di loro stesse.
Hanno abusato dei propri diritti, svenduto – non parlo di libertà sessuale, ma di porsi come merce di scambio – il loro corpo per una borsa firmata o per una “comparsata” in Tv; sono divenute rabbiose e insofferenti, arroganti, verbalmente violente. Basti osservare i vari social, all’interno dei quali, potendosi esprimere con più libertà, hanno iniziato a dividersi in gruppi e a scagliarsi come leonesse furiose l’una contro l’altra, ferendosi a vicenda.
In tv, per strada, nei bar vediamo donne arrabbiate, che esultano quando una di loro inciampa o commette un errore; le osserviamo, attraverso sguardi taglienti, mentre si sostengono a vicenda ripetendo rosari di pettegolezzi che passano di bocca in bocca; donne che invidiano e umiliano le gioie delle altre, infliggendo colpi bassi attraverso una tastiera o urlando in mezzo alla strada epiteti impronunciabili, incapaci di capire che ogni offesa fatta a una persona di qualsiasi età o sesso, è un’offesa a loro stesse.
Perché ci siamo ridotte così? Perché abbiamo dimenticato il nostro essere sublimi?
Perché siamo giunte a odiarci e disprezzarci?
Dobbiamo amare il mondo non come donne, ma come parte di un sistema paritario, solo così inizieremo a cambiare di nuovo e in meglio: essere gentili e comprensive non sarà mai un tratto di genere e non ci porterà via quello che ci siamo guadagnate nel corso dei millenni.
Se impareremo a essere migliori, se daremo il buon esempio, il mondo ci emulerà e forse ci sarà un futuro migliore per tutti.
Questo è ciò che credo. Insegniamo con i fatti e con toni miti, che la bellezza risiede in ognuno di noi, donne e uomini, e diamo il buon esempio alle generazioni che verranno.
Siamo donne: è un dono complesso da gestire, ma grazie ai nostri travagli, abbiamo popolato il mondo.
Non dimentichiamolo mai.
Michela Tanfoglio
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