Amo i solitari, i diversi, quelli che non incontri mai. Quelli persi, andati, spiritati, fottuti. Quelli con l’anima in fiamme. Henry Charles Bukowsky

Cari amici e cari lettori,
oggi vi voglio parlare del grande Giovanni Ardemagni, un uomo dalla forte personalità e che conosce bene il senso della vita.

Chi è Giovanni Ardemagni? Parlaci di te come persona. Dove vivi, che cosa fai, che cosa ami, le tue passioni.

61 anni, quindi assolutamente vintage. Vita movimentata, che mi ha permesso di imparare a gestire i cambiamenti e di trarne qualcosa di utile per il prossimo passo. Mi sono divertito sino a qui e ringrazio il buon Dio per l’opportunità. Vivo a Varese (da davvero pochi giorni e poche notti). Professionalmente opero come consulente in gestione aziendale e logistica (nel cui mondo ci vivo da trentotto anni), oltre a tenere corsi di formazione nell’ambito dell’analisi swot. La cosa che amo sopra ogni cosa è senza dubbio scrivere, elaborare momenti attraverso la scrittura. Al secondo posto ci metto, senza dubbio, l’acqua. Mare, oceani, laghi, fiumi. Il rumore dell’acqua che da sempre mi ha trasmesso energia. Quindi appena posso cerco un mare, un oceano, un lago. Un fiume. E quando lo trovo mi commuovo.

“Un momento fa, forse” è il tuo romanzo d’esordio? Avevi scritto altro, prima? Saggi, racconti, brevi interventi?

“Un momento fa, forse” non è il mio romanzo d’esordio. Il primo fu “Il Camaleonte equilibrista, osteria con alloggio” Pubblicato nel 2016. Un romanzo che è stata una sfida perché fu il primo, ma anche perché la trama e la struttura del romanzo gira tutta attorno al volermi rimettere in discussione e farlo con uno strumento che si usa in campo aziendale. La swot analisi o analisi del rischio. Mi sono divertito a trasformare i quattro punti swot (punti forti, deboli, rischi e opportunità) in quattro amici nati tutti lo stesso giorno, nello stesso posto, lo stesso secondo. Dopo venti anni trascorsi assieme si perdono di vista e passati altri venti si ritrovano per caso in un’osteria nelle Marche gestita da me medesimo. Un dialogo continuo, provocazioni, amicizia, ascolto e tanta cucina marchigiana. Dopo il Camaleonte è arrivato “Pacco felice”, un racconto dedicato a mio nipotino, ma anche ai bimbi colpiti da autismo e poi anche al mio mondo professionale. Dopo trentotto anni tra i corrieri era giusto dedicare qualcosa a quella vita che stava diventando “un pacco”. Un pacco felice.

Come è nato il tuo ultimo romanzo? Chi o che cosa ti ha offerto lo spunto? Fatti di cronaca? Oppure hai incontrato nella tua vita qualcuno dei personaggi e hai deciso di dargli vita letteraria?

“Un momento fa, forse”, è nient’altro che il racconto di una storia reale, molto reale, che mi ha fatto tanto male per gli eventi e le conseguenze. Oggi per me rappresenta non sono un romanzo che ha avuto fortuna ricevendo dei riconoscimenti importanti, ma rappresenta soprattutto uno strumento per sensibilizzare la gente e magari qualche direttore generale o direttore risorse umane, sul tema del licenziamento dopo i cinquant’anni. Tema che credo sia sempre più di attualità.

Chi è lo scrittore? Uno che crea personaggi e li dirige, oppure uno che incontra per caso un personaggio e lo segue?

Posso dire entrambe le cose? Io traggo ispirazione dal fermarmi e osservare. Capire e carpire dei momenti. Per troppi anni ho corso su e giù per soddisfare gli obiettivi di carriera di business, dimenticando che attorno c’era un modo che era lì per farsi conquistare. Ho pagato le conseguenze di quel correre, forse, senza senso. Poi mi sono fermato e ho sognato, ho creato dei personaggi attorno al momento e il momento mi ha permesso di parlare di loro. Non credo che le cose succedano per caso. Credo che inconsciamente ne provochiamo così tante, belle e brutte, stupende e catastrofiche. Se solo ci mettessimo in testa che siamo noi a creare e che è nostro compito non subire, allora “il caso” sarebbe la nostra amante segreta.

I tuoi protagonisti rappresentano e incarnano gli istinti più bassi dell’uomo. Chi o che cosa ti ha ispirato nel descrivere con “pennellate” perfette questi personaggi?

L’aver vissuto quel momento, quel momento che per me non sarà mai “un momento fa, forse”, con tanta passione. E sappiamo che passione significa soffrire. A ogni parola ho dato un significato personale al significato stesso della parola. Scrivevo e piangevo, ridevo, mi incazzavo, sognavo, mi rattristavo tantissimo, riconoscendo ogni singolo mio errore. Questo mio romanzo sono io eccome, questo mio romanzo è “qualcuno” che mi sta mancando tanto, ma tanto davvero.

I loro comportamenti non sono legati solo alla vita. Sbaglio?

Oh no, Michela, non sbagli per niente. Come detto è una storia reale. Solo un capitolo me lo sono inventato di sana pianta ma voglio considerarlo reale perché è ciò che ho desiderato potesse succedere. Ma forse per sbaglio o per fortuna non è successo. I personaggi sono reali. I luoghi sono reali. I sentimenti sono reali. Credo che ci sia molto di vero, di umano, di anima in ciò che ho scritto.

Il ruolo delle donne nel tuo romanzo.

In ogni mio scritto, in ogni mio romanzo, in ogni mio pensiero la donna è centrale. Credo di non fare dispetto a nessuna donna dicendo che la donna è di gran lunga superiore a noi maschietti. È una mina vagante di sentimento, forza, provocazione, sensibilità, sensualità, eleganza evidente o nascosta e a volte di violenza e mai gratuita. La donna è un essere senza sé e senza mai nonostante le fragilità. Questi miei pensieri e considerazioni la pongono sempre al centro. Mi piace ironizzare sulla donna perché so che sorriderebbe mentre un uomo si incazza (spesso), ma abbiamo due sensibilità diverse e la donna è comunque più furba (a volte, dai!) poi se ci confrontiamo… parliamone.

Al giorno d’oggi, gli adolescenti vengono allevati in famiglia, ma dis/educati dai social. Nella grande maggioranza dei casi, purtroppo! Sei d’accordo?

Senza dubbio sì! Metterli davanti a una tv, regalare loro un tablet finto subito, al secondo anno di età, o un finto cellulare li butta immediatamente nella folla e nella follia del consumismo e della rovina sociale. Io ho un figlio che con la sua compagna hanno portato il loro piccolo a camminare in montagna da quando muoveva i suoi primi passi. Con lui hanno fatto di tutto per renderlo centrale e insegnare loro delle cose. Una sera, a casa mia guardava la TV. A un certo punto mi dice: «Posso spegnere e leggere un po’?» Credo sia un invito a pensare e questo che vi ho raccontato è soprattutto un invito a tutti i genitori per far sì che i ragazzi crescano sereni, Che abbiamo voglia di stare attorno a un tavolo di pranzo e ascoltare e rispondere a domande che li rendano importanti. Che si possa esser famiglia. Certo noi adulti, presi dai nostri sconforti, dalle nostre delusioni o incazzature, abbiamo bisogno di isolarci, a volte e se si è genitori di un ragazzino, che magari in quel momento non può capire (o non vuoi far capire a lui), metterlo davanti a uno strumento social diventa la soluzione. Ma siamo abbastanza forti da stare con loro. Poi quando saranno a nanna potremo dedicarci a noi, alle nostre disperazioni. Sembra facile e io so che anch’io ho sbagliato.

Anche la tecnologia sfrenata isola le persone, le rende impedite e refrattarie alla comunicazione, accentua l’insofferenza verso gli altri. Sbaglio?

Michela, ancora una volta non sbagli per niente. Certo la tecnologia aiuta lo sviluppo. Personalmente, con un po’ di ironia e semplicità prendo l’esempio dei Noè. Dico che Noè ha costruito l’arca mentre gli ingegneri hanno creato il Titanic (comunque, che il buon Dio benedica lo sviluppo e la rinuncia all’arroganza di certi ingegneri). La tecnologia è un insieme di comunicazione ma c’è una cosa che è assolutamente reale: la maggior parte delle aziende che subisce delle crisi di crescita o addirittura fallisce (lasciamo stare il momento attuale) soffre il proprio stato a causa di assoluta mancanza di comunicazione vera all’interno della società stessa. La maggior parte degli errori sono dovuti alla mancanza di comunicazione e di trasparenza nella stessa. I divorzi poi sono il risultato più reale della mancanza di comunicazione. Divorzio di due persone che si sono accusate a vicenda perché stavano usando troppo il cellulare, il tablet o si sono fissati a guardarsi di fila tutti i 35 episodi Tv/Netflix di “The crown” semplicemente perché non sapevano o non avevano voglia di trovare argomenti di sana “comunicazione”.

Quali autori ti hanno incantato? Di quali ti sei innamorato e non ne faresti a meno?

Senza dubbio Antoine de Saint-Exupery, Sepulveda, Baricco, Carofiglio e uno scrittore forse sconosciuto ma che mi diverte tantissimo: Maurizio Carletti, che è anche un caro amico mio.

Hai un sogno nel cassetto?

Sì certo. Due.
Trasformarmi da autore a scrittore. Aurore è colui che scrive per passione e divertimento, scrittore è colui che vive della sua scrittura, costi quel che costi. Dopo aver volato ad alta quota per tanti anni ho iniziato a planare e con calma mi guardavo in giro per cercare quell’angolo di paradiso dove poter vivere, davanti all’acqua. Certo ogni tanto ho dovuto evitare delle pallottole impazzite sparate da chi forse con motivo, o chi, forse, senza cercavano di colpirmi. A volte mi hanno colpito e ferito, ho perso un po’ di quota ma sono risalito. Poi è arrivato un colpo molto preciso, molto forte, che m’ha fatto precipitare. Per fortuna sono arrivato a pochi centimetri dal selciato e non mi sono fracassato a terra. Quindi sto cercando di risalire. Ecco il mio sogno è di poter riprendere quel volo magari a una quota diversa, dove si conoscono i rischi.

Hai già pensato al prossimo libro?

Sì certo. Sto lavorando su tre progetti. Uno è la continuazione di “Un momento fa, forse”. Il secondo è un romanzo che sto costruendo attorno all’ennesima storia vera, di passione, amore e amicizia. Che sono i miei valori base. Il terzo sul quale sto lavorando (e vorrei considerarlo un invito a tutti gli autori) e di creare un “Ristostorie”. Un qualcosa che non vuole essere la classica guida dei ristoranti in Italia (e poi basta con i cuochi e programmi di cucina, mi stanno facendo passare l’appetito e la golosità). Sarebbe bello invitare i ristoratori di tutta Italia a inviare una storia relativa a qualcosa che gli è accaduto in passato nell’ambito del loro lavoro. Certo potranno dire: «Ma sì, è successo mentre servivo…» citando il loro piatto forte, ma dovrà essere una storia reale.

Cosa speri per il futuro?

Di stare bene, ma davvero tanto bene. Perché se starò bene avrò la forza di dare tanto tanto tanto e far stare bene anche gli altri, ovvero, coloro che avranno voglia di offrirmi un momento e un sorriso del loro io.

Grazie Giovanni.

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