Lei è Gaia e come ogni anno nel periodo che precede la Pasqua, si reca presso il cimitero del paese per deporre i fiori sulla lapide della madre.
Per lei ha comprato splendide rose scarlet e delicati gladioli dai candidi boccioli e li ha deposti accuratamente nei vasi di marmo scolpito. Nel gesto amorevole della contemplazione, osserva da vicino la cara fotografia oramai sbiadita dal tempo e con l’indice tremulo, sfiora il sorriso aggraziato della madre, immortalata in un attimo felice della sua breve vita.
Gaia, nasconde gli occhi carichi di commozione nelle lenti scure appannate dal pianto e raccolta in preghiera sussurra devota la litania eterna che avvolge il mistero della morte.
Fin da bambina perpetua ogni notte, verso la madre defunta, lo stesso rituale come unico atto d’amore…
Per lei non può fare altro!
Non ha memoria dei suoi abbracci né del calore ricevuto da essi, li ha sempre immaginati e qualche volta si è ritrovata in lacrime a violentare gli angoli bui nascosti nella mente alla ricerca di una lontana scia, seppur improvvisa, che la conducesse al richiamo limpido delle emozioni legate al loro breve vissuto insieme.
Ancora afflitta dalla solitudine per quell’affetto mai pienamente goduto, varca il confine del cimitero segnato dal cancello di ferro per avviarsi lentamente verso l’auto parcheggiata poco distante.
Un venticello gentile smuove delicatamente i suoi lunghi capelli fino a coprirle la visuale. A sua insaputa lo sguardo di un anziano uomo la segue da lontano.
A bordo dell’ auto noleggiata, Gaia si aggira per le stradine del paese in cerca di un bar, desiderosa di un caffè da sorseggiare prima di avviarsi in aeroporto.
Manca da quel luogo da più di trent’anni e nonostante il tempo trascorso, al passaggio fra quelle viuzze semideserte e assolate, avverte ancora la stessa ansia proiettata dal ricordo inconscio dell’infanzia.
Un ricordo viziato, malato e mai saputo curare né messo a tacere nel riflesso doloroso della paura.
Prima della tragedia, Gaia viveva lì, in una bella casa bifamiliare poco distante dalla piazza cittadina, con il giardino attorno e la terrazza all’ultimo piano da cui si godeva la vista del mare.
Ai suoi teneri occhi tutto appariva armonioso, all’oscuro com’era delle frequenti litigate di mamma e papà che ultimamente destabilizzavano la quiete familiare a causa del vociferare fra i paesani di una presunta relazione dell’uomo con una avvenente giovane del posto.
La madre di Gaia, diventata sospettosa per via dei tanti pettegolezzi uditi, consumava le giornate nel logorio del dubbio e assillava il marito al rientro dal lavoro con interrogatori e scenate di gelosia fino a quando aveva ottenuto da lui stesso la conferma della relazione a cui non avrebbe rinunciato neanche per amore della figlia.
Era una calda giornata d’estate e sul finire di essa, come consuetudine del periodo avevano cenato in terrazza.
Gaia, nel corso della sua giovinezza, si era spesso prestata a mettere a fuoco quell’ ultimo episodio di vita familiare, sforzandosi inutilmente di inseguire il ricordo del volto, ancora vivo della madre e forse insolitamente silenzioso, come se qualcosa di spiacevole avesse improvvisamente spento il gioviale entusiasmo della donna.
All’epoca dei fatti, Gaia aveva solo sette anni. Troppo pochi per rivivere con limpidezza la scena del saluto ricevuto dal padre prima di lasciarsi andare ai sogni, confortata dal suo orsacchiotto di peluche.
L’uomo, quella strana sera, sembrava quasi non volesse staccarsi dall’esile corpicino della figlia ed era rimasto sul ciglio del letto abbracciato a lei fino a cedere all’emozione segnata da una lacrima improvvisa e scesa malinconicamente sul volto.
Gaia non ha memoria di cosa accadde dopo e perde il blando attimo rievocato probabilmente dalla sola immaginazione e dalla consapevolezza di non poterne ricordarne altri se non quelli che seguirono, definiti i più dolorosi della sua vita.
È mattina, papà sarà già uscito per recarsi al lavoro e mamma stranamente non l’ha svegliata. Gaia smette di farsi domande, si desta dal letto e a piedi nudi si avvia correndo in cucina alla sua ricerca. La chiama ad alta voce e in assenza di risposta vaga da una stanza all’altra fino a quando entra nella camera dei genitori e la vede riversa per terra con gli occhi persi nel vuoto e il volto violaceo.
Gaia non comprende.
In preda alla paura lascia cadere l’orsetto dalle mani e si avvicina al corpo statico e freddo della madre scuotendolo e chiamandola ancora. Afferra poi il telefono posto sul comodino e digita il numero della nonna memorizzato nella mente.
Urla affannosamente di raggiungerla: “Mamma non si muove e non risponde neanche”.
Gaia ha paura e da quel momento rifugia la realtà per acquietarsi in un doloroso silenzio incomprensibile per molti anni persino a lei stessa.
All’arrivo dei carabinieri è ancora accucciata al corpo esamine della madre nella disperazione dei nonni per la perdita della loro unica figlia, soffocata dalle mani del genero un tempo amato e accolto come un figlio, ora, causa dello smembramento delle loro vite rese per sempre prive di linfa e vittime del dolore inconsolabile.
Gaia, entra nel bar della piazza e ordina un caffè al banco. Ad un tratto proviene da fuori la richiesta di aiuto da un passante: un uomo è svenuto in strada!
Gaia è medico e senza indugiare si presta a dare il primo soccorso. Si porta verso la vittima stesa a terra, si china verso lui per sentire il respiro e controllare il battito.
Alla vista del volto pallido dell’uomo, Gaia, avverte un brivido gelido attraversarle repentinamente il corpo fino ad arrestarsi al petto.
Lo sconosciuto riprende conoscenza, apre piano gli occhi e fissa la sua soccoritrice che nel frattempo tenta di metterlo in posizione di sicurezza.
Il loro incontro di sguardi è intenso e confonde Gaia. Quest’ultima scruta il colore degli occhi, la forma di essi per poi soffermarsi sulle labbra e gli zigomi ossuti dell’ uomo che in segno di compassionevole riconoscenza, accenna un debole sorriso, prende la mano della donna e la mantiene stretta fra la sua.
Gaia avvolta ancora dalla sensazione di malessere mista a inquietudine, rimane lì, intrappolata nello sguardo misterioso di quell’uomo. Lo tranquillizza per via dei soccorsi in arrivo e chiede il suo nome.
L’ uomo, si identifica con un filo di voce sommesso poi socchiude le palpebre stanche e lascia scivolare da esse stille amare. Gaia sgrana gli occhi pervasa da incredulo sbigottimento visibile nell’ espressione del suo viso.
L’ emozione divampa, supera la razionalità e abbatte i confini del tempo fino a rivedersi piccina, impaurita all’ascolto del frastuono, urlato improvvisamente dai genitori all’interno della loro camera da letto, in quella casa ancora animata.
Avverte la madre alternare rabbia esasperata a pianti inconsolabili. La sente implorare di non essere abbandonata e gridare ancora fino al tacere delle voci, silenziati di colpo.
Terrorizzata, rimane accovacciata nel letto stretta al suo adorato peluche. Sente il rumore della porta di ingresso, dapprima aprirsi e qualche secondo dopo richiudersi violentemente. Non osa uscire dalla sua cameretta e sempre più spaventata si porta alla finestra.
Attraverso il vetro osserva un uomo allontanarsi frettolosamente nel buio. Ha una valigia in mano, sale in auto e sparisce per sempre lasciando alla piccola spettatrice quell’ultima immagine e tante domande mai soddisfatte…
Al rientro a scuola, dopo le vacanze estive, quella stessa bambina a causa di un banale litigio avvenuto con una compagna di classe, subisce l’accusa di essere egoista, proprio come il padre che per amore di una bella donna non aveva esitato ad abbandonare la figlia e ammazzarle la madre.
Gaia è sconvolta, piange e corre dai nonni, affidatari della nipote. Qualche mese dopo sono sul treno verso Trento. Lì risiede la sorella più giovane della nonna materna, vi si trasferiscono e ricominciano una nuova vita lontano dai riflettori.
Adesso, chinata per terra, verso quell’uomo dallo sguardo carico di pena che continua a stringerle la mano, Gaia comprende di avere davanti a sé il responsabile di tante notti inquiete tormentate da interminabile paura, solitudine e lacrime mai consolate, fino a essere sprofondata nella rabbia dinnanzi alla verità dolorosa che la vide crescere nella condanna della malinconia perenne con il marchio della violenza subita da chi l’aveva messa al mondo.
Pensieri tristi che la indussero a rinnegare il cognome del padre e rimuoverlo come figura, fino a quell’istante, voluto dal destino come effimera rivendicazione di esso.
Gaia trema, si scosta dall’uomo, ritrae la mano e senza farsi tradire dall’emozione sussurra piano…
“Non abbia paura, non ha nulla, probabilmente è stato un calo di pressione… curi piuttosto la sua anima, il giudizio divino non sarà certo clemente”.
Gaia si alza e sparisce al suono della sirena in arrivo.