Era stanca Erminia, stanca di correre ogni giorno, stanca di affliggersi e di farsi in quattro per gli altri. Il marito, affetto da egoismo, era costantemente assente e delegava a lei ogni tipo di incombenze.
I figli crescevano pretenziosi e poco disposti alla distribuzione equa delle fatiche famigliari. Gli anziani genitori erano sempre più da accudire, Erminia con amore provvedeva alle necessità di tutti. Dedicava agli amici le briciole del tempo sottratto a sane dormite nei pomeriggi domenicali.
Era stanca Erminia, stanca dei soli doveri e di quei “no” mai detti per paura di ferire l’altro. Stanca di non menzionarsi come persona e di non riconoscersi come essenza da accudire e amare annullando così ogni forma di desiderio.
La forza indicibile da mostrare prima a sé stessa e poi agli altri, l’aveva abbandonata di colpo e il corpo ora stanco, mostrava tutta la disapprovazione possibile, quella che urlava di porre tregua alla corsa infinita della sua devastante vita… ogni giorno.
Erminia aveva appena compiuto cinquantatre anni ed era stanca… di vivere!
Giaceva nel suo letto e dormiva incurante dei rumori della vita, degli sguardi preoccupati dei parenti e del suo orgoglio, messo oramai a tacere dall’altra forza, quella distruttiva che annienta e rende vittima del male oscuro, radicato nell’anima.
Non comprendeva ancora come fosse stato possibile arrivare al declino che adesso la costringeva a barcollare nell’oscurità della sua mente.
Avrebbe voluto dare una svolta diversa alla sua vita, ma non era stato possibile e dunque aveva accettato le conseguenze del suo destino con una sopportazione infinita fino al logorio del corpo e della sua anima.
Armata dal coraggio necessario per portare a termine ogni giorno le innumerevoli responsabilità, aveva messo a dura prova la sua indole fragile e le sue forze.
Si definiva una combattente almeno così era stato fino all’ennesimo sopruso subito in ufficio, perdendo irrimediabilmente l’entusiasmo e non solo per il lavoro bensì tutto quello che aveva costruito, forse malamente.
Adesso mancavano le forze necessarie per reagire ai soprusi dei colleghi, ai capricci dei figli e all’indifferenza devastante del marito.
Accasciata nel suo giaciglio aveva preferito allontanarsi da tutti, persino da sé stessa, proteggendosi con un irremovibile silenzio.
Impiegata modello non si era mai sottratta ai doveri e con scrupolo svolgeva una mansione di responsabilità e mai aveva creato problemi fino a quando arrivò lei, la collega, bella quanto perfida, seducente e machiavellica, intenzionata a metterla in cattiva luce per prenderle il posto prestigioso.
Aveva fatto di tutto per farle perdere la stima dei colleghi, riuscendo nell’impresa con subdole accuse e sottili illazioni per più di un anno.
Erminia era segretaria di direzione e il suo capo affidava a lei importanti incarichi. Era ingiustamente invidiata per la posizione professionale che ricopriva, per lo stipendio percepito e i regali ricevuti a Natale.
Ma nessuno che la invidiasse trovandola in ufficio al mattino presto o il sabato, mentre tutti godevano del riposo.
La nuova arrivata, con cattiveria estrema, insinuò piano piano fra i colleghi il dubbio che Erminia fosse una persona astuta e che il loro dirigente facesse quanto richiesto dalla segretaria favorita poiché sua amante.
Erminia non aveva mai sospettato di essere considerata tale fino a quando la perfida collega le aveva raccontato con l’ enfasi del pettegolezzo spietato, ciò che gli altri dicevano sul suo conto nascondendo di essere lei la causa dello scompiglio e delle maldicenze.
Erminia apparve emotivamente distrutta e nel giro di poco vide crollare anni di stima apparentemente leale, minata dai dubbi e non solo da parte dei colleghi ma anche di tutta la dirigenza.
Fu quella la “goccia che fece traboccare il vaso” e portò Erminia a richiamare alla mente un vissuto impegnato al sacrificio per gratificare tutti e mai sé stessa.
L’infamia e la slealtà l’avevano toccata nel profondo del suo essere buono. Lei, dedita al suo ruolo con livore e professionalità, ora sentiva più che mai di essere stata calpestata nella dignità dalla cattiveria dei colleghi, dall’ l’indifferenza del marito e dalle pretese dei figli, sempre pronti a chiedere e mai a dare.
Cosa aveva sbagliato per raccogliere quella pesante eredità? Non sapeva rispondere alla domanda e passò a rassegna gli episodi della sua vita quelli in cui era stata presente per tutti: parenti, amici e colleghi.
Mise in discussione la sua personalità e si fece cruccio per gli errori commessi per troppo amore verso gli altri e l’arrogante perfezione che pretendeva dal suo stesso operato.
Era sensibile Erminia e il malessere dell’anima esplose e contaminò il corpo, sempre più affaticato. Le vennero tolte le mansioni più importanti e in poco tempo vide crollare la sua posizione fino a essere relegata a un unico compito, rispondere al telefono e distribuire i caffè alla dirigenza.
Era arrabbiata per gli sguardi ironici degli altri impiegati e le punzecchiate ricevute da essi, mentre l’ ambiziosa collega, si atteggiava a leader e prendeva possesso di quello che un tempo era stato il suo ufficio.
Poco importa disse Erminia, la vita va avanti, non si distrugge certo per la beffa di una collega arrivista e neanche per chi ha creduto alle infamie maliziosamente raccontate sul suo conto. Non erano vere e questo avrebbe dovuto assolverla dalla cattiveria umana, quella che distrugge ma necessita anche contrastare.
Eppure nonostante i buoni propositi Erminia sentiva di essere stata colpita duramente nella sua essenza al punto da ammalarsi.
Sì trascinava dolente, nei vari corridoi, non si truccava neanche più e spesso indossava gli stessi abiti per più giorni, fino a quando le venne diagnosticata una depressione, probabilmente scatenata dallo stress, disse il medico e prescrisse i farmaci necessari per non farla cadere ancora di più nel baratro della solitudine interiore a cui era già approdata.
Non aveva più le forze di prima e i dolori lancinanti agli arti le creavano uno smarrimento profondo che solo attraverso gli antidolorifici riusciva a lenire dormendo gran parte del giorno.
Nel frattempo per un improvviso assestamento aziendale ci fu un rinnovo della dirigenza e a Erminia fu proposto di dare le dimissioni con un’ottima indennità di buonuscita a cui non si oppose.
La perfida collega aveva ottenuto ciò che voleva e anche il ruolo di Erminia.
Il marito continuò a non preoccuparsi dello stato di salute della moglie e raramente rientrava a casa prima del solito. I figli vivevano allo sbando ma in compenso facevano dormire la madre senza alcun tipo di richieste.
Ciò nonostante Erminia mancava a tutti soprattutto a sé stessa.
Era arrivata l’estate e il caldo torrido impediva il riposo notturno. Erminia si alzò dal letto e in punta di piedi si recò sul terrazzo in cerca di frescura e lì rimase seduta, affascinata dal richiamo della luna per farsi ammirare nella sua totale bellezza.
Tutto era avvolto dal silenzio e nella quiete del momento Erminia ebbe il coraggio di lasciarsi andare all’attimo introspettivo, profondo e rivide ciò che era stata e forse non avrebbe dovuto essere.
Non si era amata abbastanza, non si era mai piaciuta e ciò aveva determinato la sottomissione ai doveri esasperati da lei stessa.
Le pretese degli altri a cui aveva sempre acconsentito, avevano spremuto innaturalmente la sua forza e assopito la sua anima in una quiete rassegnata e priva dei piaceri.
Non si era mai ribellata Erminia perché così era le era stato insegnato, compiacendo il marito, i figli e i colleghi in ultimo, sopportando con la forza della rassegnazione ciò che non osava contrastare preferendo piuttosto morire dentro.
Avrebbe dovuto distribuire meglio il suo coraggio, pensò, avrebbe dovuto pretendere rispetto e soprattutto avrebbe dovuto amarsi e coccolarsi come nessuno aveva pensato di fare soffocandole i desideri a cui credeva di non avere diritto.
La lucentezza della luna domino’ quella notte pensierosa ma non la scena, quella adesso apparteneva a Erminia e alla sua vita.
Il limbo in cui era sprofondata le impose di fare la sua scelta.
Avrebbe potuto continuare a dormire fino al sopraggiungere del sonno eterno e porre fine a una malinconica esistenza, mai vissuta mai esplorata, mentre la luna, sarebbe ritornata ancora a splendere e senza più lei a contemplarla.
Erminia non era vigliacca, amava la vita e adesso doveva trovare il coraggio necessario per salire sul palco dei teatranti e prendere possesso della sua parte!
Aveva un sogno e da lì partì.
Erminia è proprietaria di un ristorante parecchio rinomato, i figli lavorano con lei fino a tarda sera. Ha divorziato dal marito e ha un nuovo compagno al momento non vivono insieme perché lei vuole così!
(IMMAGINE: DREAMSTIME)