Tutto si evolve, la natura stessa accoglie il cambiamento e sarebbe innaturale contrastare tale evoluzione; la società è parte integrante della natura e l’uomo è il principale artefice della sua trasformazione.
La natura umana esorta alla crescita spirituale del soggetto, intesa come morale e coscienza, capace di migliorare l’uomo stesso e renderlo consapevole di discernere dal “male”.
La società “promossa”, è costituita da quel “noi” forte e potente che, ahi me, non mostriamo ancora di essere!
Incapaci di frenare il malcostume, esso avanza danneggiando l’evoluzione di ognuno.
Schematizzati da parole riduttive e provocatorie, annulliamo la nostra crescita e critichiamo i comportamenti dell’altro senza mai esplorare noi stessi.
Siamo ciò che abbiamo costruito e mai osannato.
Siamo un partito, una fazione, una ideologia di massa e una inconcepibile frattura fra Nord e Sud. Tutti “mafiosi” o “corrotti” e ci scagliamo contro noi stessi, mentre la vera corruzione dilaga, nascosta dalla fuorviante maschera del buonismo sociale.
L’iincapacità di azioni risolutive e immediate, cela la paura delle responsabilità, quelle che nessuno ha il coraggio di assumersi. Si predilige la sottomissione e si svia l’attenzione da eventi messi volutamente a tacere.
Così facendo, abbiamo condannato la nostra società e nello sguardo dello squallore silenzioso, avanziamo fino al degrado.
Ecco noi siamo tutto ciò.
Ci indignamo dinnanzi alle ingiustizie e li disapproviamo attraverso i social. Soprusi vissuti, bugie udite, promesse mancate e infine, annaspiamo esasperati nella consapevolezza di sconoscere il domani e, carichi della sola frustrazione, attacchiamo i nostri simili.
Il nostro è un coraggio “malato”, incapace di metterlo in discussione e di attuare i cambiamenti necessari. L’ urlo disperato appare asfittico e non echeggia all’unisono poiché smembrato di potenza.
Le regole serie e immediate, chiare e semplici, non accolgono la meritata risposta e l’eco della supplica continua a essere soffocato da sterili commenti che portano sempre allo stesso dannoso silenzio.
Governo, regioni, provincie e comuni, appaiono affollati di “menti”, coesi si, ma solo nel generare caos e non la dovuta sinergia e infatti destabilizzano il cittadino che annaspa nella confusione, non evolve ed è destinato al fallimento.
Una società che vuole progredire deve trovare l’umiltà necessaria per individuare gli errori commessi, resettarli, ripartire da essi e avanzare spediti.
Una società che non ha la capacità di annullare stipule di leggi scriteriate e prive di empatia, aliena i cittadini, li rende sfiduciati, vittime e apre i “cancelli” alla depressione di massa.
La società non deve più essere penalizzata dalla malsana distribuzione dei denari che essa stessa produce!
La priorità bussa, deve essere ascoltata e svincolata dalla inutile burocrazia. Così facendo, si potrebbe finalmente mettere fine al fallimento che avanza e un veto dignitoso ai continui sacrifici richiesti solo ai cittadini comuni.
Abbiamo fallito tutte le volte che un anziano, dopo una vita di lavoro e stenti, chiede ancora l’elemosina, mentre chi, senza merito, si è seduto sulla famosa “poltrona” assicurandosi il cospicuo vitalizio, persino da tramandare.
Abbiamo fallito tutte le volte che leggiamo decreti ed emendamenti dall’ interpretazione “libera e ambigua” le cui intenzioni servono a confondere le eventuali responsabilità da scaricare all’altro.
Tutto ciò crea staticità nociva al Paese.
Abbiamo fallito quando un imprenditore preferisce espandersi oltre confine o peggio, si uccide avvilito dal sistema. E abbiamo fallito ancora quando una serranda non riapre più.
Quando un insegnante viene aggredito e beffeggiato. Quando all’istruzione viene negato l’adeguato riconoscimento e l’apparenza diventa merito più della conoscenza.
E continuiamo a fallire tutte le volte che la rabbia della “gente comune” rimane inascoltata, considerata fastidiosa, mediocre e dunque lecitamente messa in attesa, magari di un tetto miserabile richiesto per i propri figli, mentre chi è stato ” furbo” gode della magnifica vista su Roma!
Abbiamo fallito contando promesse superiori ai troppi inverni, vissuti all’interno di un container, al posto delle case ancora da ricostruire, mentre chi gira il capo dall’altra parte, gode del “meritato” riposo vacanziero a bordo di lussuose barche, mete paradisiache, ed elegante si reca alle prime teatrali.
Capire chi non arriva a fine mese, chi dorme nelle auto, chi è costretto a dire quel terribile “no” ai figli e chi continua a lavorare senza prospettive di una degna pensione, oltre a non goderne in tempo, non appare un problema prioritario di chi ci governa e nell’indifferenza del dolore altrui, brindano soddisfatti ai traguardi raggiunti, leggi assurde che passano alla storia con i loro cognomi e alle varie alleanze.
Abbiamo fallito perché abbiamo perso l’empatia, il senso di giustizia, del rigore e della morale e non ci scandalizziamo più di nulla.
La gentilezza è stata abrogata dall’ indifferenza e il motto del “tutti per uno” è stato egregiamente sostituito dal “chi fa per sé fa per tre” e nei vizi e la finta apparenza di commiato affondiamo le virtù, creando la miseria dei molti e la ricchezza dei pochi.
Fallire vuol dire distruggere la dignità dell’altro, tarpare le ali a quest’ultimo e soffocarne i diritti e il rispetto.
Negare il lavoro annulla la dignità del singolo, sempre più oltraggiato da limitazioni infinite che non permettono il riscatto né la crescita della società.
Ecco, la vera miseria non è dei poveri bensì è radicata nell’animo di chi “arraffa” senza scrupoli e la tramanda come degna esperienza, vantando morale inesistente ai danni di chi soffre ed è costretto a rinunciare persino ai sogni.
Comprendo che tale miseria è complicata da risolvere, più della distribuzione equilibrata del denaro, ma non comprendo l’ accanimento avido nel voler coltivare il proprio “orticello” a spese dell’altro, fallendo inesorabilmente come comunità.
La società è in totale decadenza perché nessuno è capace di assumersi la responsabilità della lotta e neanche del danno.
Si allude alla gloria del denaro, all’immagine da riscattare e si mette a tacere ciò che avremmo potuto fare, avremmo potuto essere se non non fossimo stati complici di plateali litigi come spettatori passivi.
Affidiamo ogni tipo di frustrazione al sospirato “goal” della squadra del cuore, amata più del rispetto negato, mentre qualcuno a nostra insaputa, ha pianificato la “rete”, pronta a soffocare la libertà e la dignità dell’altro.
Quella che per “quieto vivere” abbiamo tutti messo a tacere mentre oggi, una mamma incapace di assicurare un pasto alla propria figlioletta di appena tre anni, ha scelto di fare il salto tragico dal suo balcone…nell’ indifferenza di chi avrebbe potuto evitarlo.