La Iaaf replica a Caster Semenya, che aveva accusato la federazione mondiale di atletica di averla usata “come cavia da laboratorio nella faccenda riguardante il nuovo regolamento sugli atleti iperandrogenici”, costringendola, per gareggiare, a sottoporsi a test del sesso e a cure ormonali
” Non permetterò più che usino il mio corpo”, aveva aggiunto la 2 volte olimpionica degli 800 metri.
“È biologicamente un maschio”, sostiene ora la Iaaf in una nota in cui spiega la tesi esposta davanti al Tribunale di Arbitrato dello Sport di Losanna, che le ha dato ragione nei confronti della mezzofondista sudafricana.
Quest’ultima contestava la regola secondo cui, per poter continuare a gareggiare, lei e le altre nella sua stessa condizione di iperandrogenismo (termine che indica una eccessiva produzione di ormoni maschili, in particolare di testosterone) devono obbligatoriamente sottoporsi a una terapia ormonale per ridurre i propri livelli di testosterone.
Dopo aver perso la causa al Tas di Losanna, la Semenya ha poi vinto la sua battaglia al Tribunale Federale svizzero un mese fa, potendo così tornare a correre i “suoi” 800 (e tutte le distanze comprese tra il 400 e il miglio) senza doversi sottoporre ad alcun trattamento.
Il Tribunale federale svizzero ha temporaneamente sospeso la norma introdotta l’8 maggio della Iaaf riguardante gli atleti intersex.
Così è stato reso noto un documento di 163 pagine del Tas in cui c’è la storia di questo processo sportivo, in cui è presente la tesi, in apparenza accolta, che Semenya è una di quelle atlete ” biologicamente uomini ma con tratti d’identità di genere femminile“.
Parole alle quali, davanti al Tas, la sudafricana ha replicato dicendo che “mi sento ferita in un modo che le parole non riescono a spiegare”. Intanto la norma della Iaaf è stata sospesa dal tribunale federale elvetico, ma da quel giorno Semenya non ha più gareggiato.
Raffaele La Russa