L’annuncio dell’addio di De Rossi alla Roma lascia un vuoto non solo nel cuore dei tifosi giallorossi
L’annuncio è stato improvviso, in una mattina presto di maggio che ha squarciato il cuore di tutti i tifosi della Roma: Daniele De Rossi giocherà la sua ultima partita con la maglia giallorossa il 26 maggio in Roma-Parma, ultimo turno del campionato 2018/2019.
Dopo 18 anni si chiude così la storia tra la Roma e De Rossi, una storia che ha vissuto anche di alti e bassi con parte della tifoseria senza intaccare mai l’amore reciproco di entrambi. Le modalità di questo addio, chiarite nella conferenza stampa di ieri da De Rossi e il Ceo della Roma Guido Fienga, hanno lasciato l’amaro in bocca ai tifosi: è stata una decisione della Società di non rinnovare il contratto al suo capitano, che si sente ancora calciatore e avrebbe voluto continuare a giocare con la maglia della squadra per cui ha sempre tifato.
In questo calcio moderno, in cui le squadre vengono gestite come “aziende” (termine usato spesso da Fienga per nominare la Roma), l’addio di De Rossi lascia un vuoto non solo nei tifosi giallorossi, ma in tutti gli amanti di un calcio che sta lentamente sparendo: è successo al Milan con Maldini, alla Juventus con Del Piero, all’Inter con Zanetti, alla stessa Roma con Totti, tutti campioni e bandiere ammainate in modi diversi tra loro, ma che avevano un senso di appartenenza difficilmente riscontrabile nei giocatori di oggi.
De Rossi non era un simbolo soltanto per i tifosi della Roma, lo era anche per i suoi avversari, al netto di gesti ed episodi non proprio felici nella sua carriera; lui per primo ieri lo ha confermato in un passaggio della conferenza: “Ringrazio anche gli avversari, tante emozioni le ho sentite lì: i derby, a Napoli, a Bergamo e così via. Il calcio è contrapposizione, un po’ di tifo ed ignoranza. Sono contento di aver avuto nemici.” E i suoi avversari faranno fatica ad incontrare nuovamente giocatori come lui, pronti a legarsi a vita ad una squadra, diventandone simbolo.
Le motivazioni di un’ “azienda” possono essere comprensibili, anche se un uomo, prima ancora che giocatore, come De Rossi sarebbe servito ad una Roma in procinto di ennesima rivoluzione tecnica, sia come riferimento in campo sia come uomo spogliatoio e guida per i più giovani.
Ma il calcio non è solo “azienda”, è qualcosa che va a toccare le emozioni dei propri tifosi, è amore verso i colori della propria squadra, un amore che si leggeva ieri negli occhi lucidi, emozionati e un pò delusi di De Rossi.
La Roma andrà avanti senza di lui, così come tutte le squadre sono andate avanti dopo gli addii dei loro capitani-simbolo, ma oggi l’idea di un addio a De Rossi è più malinconico perché se ne va l’ultima bandiera rimasta e ha il sapore di un addio ad un calcio che non c’è più, meno “aziendale” e più passionale.
Filippo D’Orazio