Ecco l’intervista in esclusiva alla Dottoressa Marzia Serena Terragni, Psicologa e Psicoterapeuta del Calcio per parlare di un tema nuovo o comunque poco conosciuto ai più come l’applicazione della psicologia al gioco del calcio.
Lei fa parte della Calcio Profiler, Società che insieme a Paolo Seghezzi si occupa di giovani calciatori.
1) Ci può innanzi tutto spiegare come nasce l’idea di introdurre la psicologia al mondo del calcio, ovvero quali sono i benefici per gli atleti?
L’idea nasce dal fatto che ci occupiamo principalmente di giovani calciatori, il ché significa persone che stanno ancora strutturando la loro personalità e quindi non dobbiamo vedere solo la parte del calciatore, ma quella del ragazzo e della persona che è fatta come tutti dalla psiche, dalla parte delle emozioni, paure aspettative e questo significa che non possiamo prescindere perchè anche la prestazione sportiva, non solo per i calciatori ma in tutti i campi, risente delle cognizioni mentali che la persona vive in quel momento.
2) Qual è la componente principale per cui un ragazzo giovane riesce a diventare un calciatore professionista, perché alcuni ce la fanno e tantissimi altri no a prescindere dalle capacità tecniche ovviamente?
Ovviamente le capacità tecniche devono essere alla base, altrimenti non si può lavorare. Le capacità mentali sono però ugualmente importanti: se uno ha le capacità tecniche ma non ha la determinazione, la motivazione, l’autostima, ma anche ad esempio nei giovani calciatori, il sostegno familiare, difficilmente può andare avanti.
Gli aspetti psicologici non vengono trattati solo rispetto al singolo ragazzo, ma anche rispetto al rapporto con la famiglia, che molto spesso può essere o un grosso trampolino di lancio o purtroppo un grosso ostacolo.
Questo si vede quotidianamente anche sui giornali, delle risse sugli spalti in partite di ragazzini molto piccoli, e quindi questo diventa un grosso problema per la crescita personale e sportiva dei ragazzi.
3) Noi abbiamo sentito parlare per la prima volta di psicologia e calcio nel 1994 quando Arrigo Sacchi, allora CT della Nazionale Italiana, decise di ricorrere ad uno psicologo per valutare quale dei suoi calciatori fosse più pronto per affrontare una finale mondiale: lei pensa che allenare la mente dei calciatori all’evento possa portare dei benefici oppure una volta che il calciatore scende in campo dimentica completamente l’allenamento del pensiero?
Assolutamente, l’allenamento mentale è importante tanto quanto l’allenamento tecnico e fisico, perchè permette al nostro cervello di sviluppare quelle capacità che poi noi portiamo in campo.
Se In campo non riusciamo ad essere concentrati, ci facciamo distrarre da quello che succede fuori, se sbagliamo ci facciamo prendere dal panico e questo determina un calo della nostra prestazione molto importante; se noi invece ci siamo allenati anche da un altro punto di vista, riusciamo a far fronte a quelli che sono gli imprevisti e le difficoltà con un’attenzione propositiva e favorevole.
4) Come società Calcio Profiler prestate attenzione all’ambiente in cui il
giovane calciatore andrà a giocare oppure rimane sempre fondamentale l’aspetto
“carriera” a discapito di un ambiente più consono alle attitudini di un giovane
calciatore?
No, anzi, quello che cerchiamo di fare per differenziare il nostro lavoro è quello di stare attenti al ragazzo a 360 gradi, che significa attenti a tutti i suoi bisogni, per cui anche all’istruzione, perchè molto spesso si prendono ragazzini troppo piccoli, li si sforza, perchè sono bravi, ma gli si fa perdere i legami con i compagni e con la scuola e come sappiamo non tutti ce la fanno, bisogna anche nel frattempo coltivare un piano B, come l’istruzione.
Tener presente questi aspetti è fondamentale, anche perchè un ragazzo ce la può fare anche se viene messo nella condizione di potercela fare, il chè significa anche che se io prendo un ragazzino ancora immaturo e insicuro e lo metto in un contesto molto lontano da casa e dai suoi riferimenti, rischio di fargli un grosso danno e di farlo disinnamorare anche del calcio.
Queste cose accadono…
5) Cosa pensa del rapporto famiglia-calciatore-società? Quanto è importante per un calciatore?
Molto, sopratutto se parliamo dei giovani, perchè chiaramente i giovani hanno bisogno della famiglia intorno e delle persone che li supportano e gli stiano vicino credendo in loro.
Io lavoro anche in alcune scuole calcio e quello che succede è che anche nei bambini molto piccoli la famiglia inizia ad entrare in competizione con il mister, o con la società perchè pretende che il figlio giochi in un ruolo diverso da quello in cui viene schierato. Siamo tutti allenatori e si finisce per creare dinamiche conflittuali che vanno a danneggiare il ragazzo, perchè non può più sentirsi a proprio agio in una guerra che lo vede nel campo di battaglia piuttosto che sul campo di calcio.
E’ quindi un elemento importantissimo, come avere persone che li spronino, non bisogna quindi avere una eccessiva aspettativa dalle prestazioni, perchè anche qui molto spesso vediamo calciatori fare questo mestiere per rispondere alle aspettative dei genitori, rispetto ad un desiderio personale, quindi poi si può incorrere in problematiche psicologiche importanti.
Se io sto facendo una cosa perchè ritengo che l’amore dei miei genitori in
parte dipenda anche dal fatto che io riesca a fare quello sport e a farlo bene,
rischio di compromettere tutta la mia autostima nel momento in cui qualcosa non
va.
6) Come si affronta una delusione sportiva? Immagini il calciatore che sbaglia il calcio di rigore decisivo e la sua squadra perde la finale della Coppa, traguardo inseguito da tutto l’ambiente per una intera stagione?
Ci sono dei percorsi appositi. Io ho una specializzazione in un metodo che si chiama EMDR, che è un metodo studiato apposta per la risoluzione dei traumi.
Questi sono piccoli o grandi eventi traumatici, perchè poi dipendono da che partita stiamo parlando.
Ci sono delle tecniche di colloquio fatte proprio per lavorare sul trauma che questi eventi creano, in modo che questo episodio rimanga un brutto ricordo ma non condizioni le prestazioni future.
7) Se un calciatore ha dietro di sé tante attese e poi delude come lo si aiuta?
Si lavora sul rinforzo dell’autostima, e anche il cercare di costruire gli obiettivi, per cui darsi degli obiettivi e cercare di distinguerli da obiettivi che si danno gli altri per lui. In base a questo si rafforzerà l’autostima nei momenti più brutti.
Si supera anche con la forza della motivazione e della determinazione.
8) Parlando di calciatori famosi, quanto conta il rapporto fra il calciatore e i tifosi? Esiste un modo per aiutare ad evitare i fischi del pubblico avversario o viceversa quanto aiuta il calciatore essere supportato dai propri tifosi? Se un calciatore ha la mente allenata risente dei comportamenti, amici o nemici, di chi sta sugli spalti a vedere una partita?
I calciatori professionisti fanno un lavoro psicologico importante. Per fortuna sta entrando nella mentalità di tutte le grandi squadre la necessità di fare questo tipo di allenamento. Un calciatore che ha alla base una forte preparazione mentale riesce anche a estraniarsi da quello che è l’ambiente esterno e quindi non badare ai fischi o agli applausi ma a concentrarsi sul gioco e la prestazione.
Non sono comunque dei robot, ma spesso giovani uomini, quindi l’impatto con il
tifo è sicuramente importante: i tifosi che fischiano i propri giocatori non
gli fanno un favore, e non aiutano la squadra in un momento di difficoltà.
9) Come dovrebbe essere, secondo Lei, l’allenatore modello per i ragazzi giovani? Quanto conta l’allenatore, l’ambiente, in un trasferimento di un calciatore da una società a un’altra?
L’allenatore, sopratutto per i giovani, conta molto. Se pensiamo alla fase dell’ingresso nell’adolescenza dove il ragazzo inizia a prendere le distanze dai genitori e cercare altri modelli di riferimento, l’allenatore può diventare un riferimento importante, quindi conta la sua parte.
Conta anche l’aspetto educativo, quindi il fatto che si crei una relazione e che ci sia la possibilità di essere compresi dall’allenatore nelle loro sfumature mentali, nelle loro difficoltà, permette all’allenatore di sfruttare al meglio possibile il ragazzo.
10) Quanto conta la gestione dello spogliatoio nel gruppo? Nel calcio che conta abbiamo esempi di stile diverso ad esempio tra Mourinho o Klopp o Capello o Bersellini per chi lo ricorda: è meglio cioè un allenatore che fa gruppo con le motivazione tipo Mourinho o un generale distaccato tipo Capello o Bersellini?
Io credo che non ci sia una risposta unica, perchè poi non a tutti va bene la stessa cosa, le personalità sono diverse e differenti.
Penso che puntare sulla relazione del gruppo, visto che parliamo di un gioco di squadra può essere un aspetto che dà una marcia in più ma poi dipende da come si scontra con le diverse personalità.
Quando io lavoro con le squadre parto prima da una valutazione dei singoli, per vedere come le singole individualità vanno poi ad intersecarsi con le personalità degli altri, per cui non direi che c’è un modello di riferimento univoco, però il non prescindere da quello che sono i legami all’interno del gruppo, è importante.
Uno spogliatoio dove qualcosa non va, in campo si vede.
11) Quando il calciatore si sta avviando alla fine della carriera e non vede più traguardi da raggiungere ma solo quello di terminare decorosamente il suo impegno sui campi di calcio, come può lo psicologo aiutarlo a far capire che si avvicina “la vita normale” e non più quella “sotto i riflettori”?
Questo è un grosso lavoro, che noi psicologi ci troviamo a fare, perchè implica il cambiamento di vita e molto spesso quello che fa paura è il non avere uno scenario alternativo: come vedere una fine e che dopo non c’è nulla.
Quello che cerchiamo di fare come psicologi sportivi è quello di creare alternative, quindi aiutare l’uomo a trovare quella che è una nuova motivazione e una nuova strada per potersi comunque continuare a sentire realizzato nonostante la fine di questo primo pezzo di vita.
Siamo certi che questa chiacchierata sia stata molto apprezzata dai lettori
perché ha fatto luce su aspetti che stanno dietro le quinte – e quindi
sconosciuti ai più – rispetto al palcoscenico del campo di calcio.
A cura di Raffaele La Russa