di Stefano Lesti –

 

Sono nato nel 1970 e da bambino giocavamo a calcio ovunque ci fosse spazio per mettere giacchetti e quant’altro a terra per fare i pali della porta. Ne bastava soltanto una a volta e si facevano sfide a due, a quattro, a sei senza spendere un soldo. Ci si divertiva con poco, come si suol dire, ma per noi era il massimo.

 

Non come oggi che se in una grande città vuoi giocare a calcio e divertirti non lo puoi fare a meno che non prenoti un campo da calcetto o calciotto, mentre i condomini hanno bannato nei propri cortili l’uso di palloni per giocare. Giocare per la strada poi, nemmeno a parlarne.

 

Non so voi, ma io sono anni e anni che non vedo più bambini giocare a calcio per strada come facevamo noi. Oggi che molti comuni hanno cambiato la destinazione d’uso di terreni a uso sportivo e ricreativo cementificandoli e trasformandoli quando in centri commerciali e quando in aree parcheggio o altro, vedo soltanto ragazzi fuori forma, che sono esauriti, tesi e nervosi come i loro genitori.

 

Ragazzi confusi e distratti lasciati a sè stessi e oberati dai compiti di scuola e da messaggi mediatici che spesso sono più pericolosi dell’influenza perchè ancor più endemici in quanto portatori di germi patogeni i cui effetti sono sotto gli occhi di tutti senza che però avessimo la percezione minima del pericolo in corso.

 

Oggi e da almeno quindici anni vedo ragazzi e ragazze che invece di fare sport si sono fusi in un rapporto di dipendenza con i cellulari in una sorta di osmosi, ragazzi spesso disperati, vuoti e soli a cui nessuno ha insegnato il valore aggregativo e olimpico dello sport, così come la cultura della pratica sportiva, cioè a dire prima forma di prevenzione da ogni malattia fisica e spirituale che non solo è personale ma addirittura sociale date le sue ricadute. Meditate gente, meditate.

 

di Stefano Lesti

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