Di Francesca Giambalvo – “Se un selfie, un video, la ricerca della foto migliore da condividere subito in rete viene prima di quello che mio figlio sta facendo come potrò fargli capire che postare le sue foto può essere un pericolo? Se da quando è nato è abituato a fare smorfie e ad essere esposto sui vari social, come potrò spiegargli che controllare in continuazione like e condivisioni non gli fa bene?” In maniera più o meno letterale, questa è una conversazione che ho avuto con una mamma proprio ieri.
Frasi attuali, pensate, dette o sentite… in ogni caso, dietro queste frasi, c’è un mondo che mette in relazione noi genitori con il futuro dei nostri figli.
I ragazzi e le ragazze di oggi, sono figli di generazioni che dallo smartphone sono state letteralmente travolte, fagocitate da evoluzioni e aggiornamenti velocissimi. Non c’è stato il tempo (e la coscienza) di capire se quello schermo avrebbe avuto delle ripercussioni nella vita di tutti i giorni, quella vita fatta dallo stare seduti alla stessa tavola, raccontarsi la giornata, condividere un pomeriggio di attività insieme.
“Adesso basta! Non puoi stare sempre attaccato al cellulare!”. “E ora in punizione! Senza telefono perché non puoi vivere così!”.
È vero, ragazze e ragazzi non si rendono conto del tempo che trascorrono isolati con il loro smartphone. Viviamo in un’era in cui, nostro malgrado, loro ne sanno più di noi. E se non la sanno ci mettono un attimo ad informarsi e “distruggerci”. Tu genitore sei sempre osservato sotto una lente di ingrandimento e se tua/o figlia/o non trova coerenza tra il tuo dire e il tuo fare apre un conflitto che si manifesta in modo diverso a seconda del suo carattere e delle sue esperienze. Si chiederà “Perché tu ci puoi stare e io no?”. Tra adulti possiamo anche dirci che i ragazzi non sanno i danni che derivano da quell’attaccamento continuo. Ma il punto non è questo. Se vuoi ottenere qualche tipo di effetto la domanda da farti è: Quanto tempo passo, io, allo smartphone?
Henry David Thoreau, già qualche secolo fa, sosteneva che “Se vuoi convincere un uomo che fa male, fai il bene. Ma non preoccuparti di convincerlo. Gli uomini credono a ciò che vedono.” Non ci sono punizioni, sgridate, divieti che reggano o che producano l’effetto che speri.
Arriva il momento (sempre più precoce) in cui l’adolescente entra in conflitto con il suo mondo di certezze (leggasi famiglia) per testare quanto, quel suo mondo, è solido. In un momento in cui tutto intorno si sfalda, l’adolescente ha bisogno di trovare stabilità. Anche se la contesta. Ed è qui che bisogna resistere.
Ragazzi e ragazze hanno bisogno di coerenza e di fermezza perché il terreno sui cui poggiano è profondamente instabile. La realtà intorno a loro è intangibile e filtrata da uno schermo, tutto è alla portata ma senza averne concretezza. È attraverso lo scontro, diretto o meno a seconda del carattere, che l’adolescente cerca conferme nella capacità dell’adulto di riferimento di mantenere la situazione e di contenerlo.
Dare il buon esempio ed essere coerenti nel tempo non è certo semplice. Ma da qualche parte bisogna pur iniziare!
Io ho deciso che quando sto con il mio piccolo Diego imposto il telefono per ricevere solo le chiamate. Se qualcuno ha urgenza mi chiama. Il tempo che trascorriamo insieme è un tempo troppo prezioso, è un tempo che non tornerà più. Ho deciso che non c’è e-mail, WhatsApp, Facebook, Twitter, niente che meriti la mia attenzione quando sto con lui.
Tu hai già deciso cosa fare?
Dott.ssa Francesca Giambalvo – Psicologa, consulente in psicologia dello sport
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