Salve presidente, eccoci giunti al termine di questa lunga ma per noi importante intervista.
Le scuole di Roma e della provincia che almeno fino a qualche tempo fa accoglievano gli atleti di molte discipline sportive si occupano oggi grosso modo soltanto di calcio: come si fa a costruire un dialogo e a recuperare un rapporto ormai compromesso se non quasi del tutto impedito? Come potrà fare la SS Lazio ad attirare i giovani togliendoli dalla strada, anzi, dal deserto generale in cui oggi sono costretti a vivere?
Non è facile, è quasi del tutto impossibile, ma ancora di più è scioccante che le scuole in molti casi abbiano atteggiamenti negativi e immotivati, frutto di diffidenza e preconcetto contro di noi.
C’è molta cialtroneria perchè non immagino, anzi, non voglio assolutamente pensare che vi sia premeditazione; tuttavia le situazioni consolidate ci appaiono chiare, esasperate e radicalizzate oltre che tristi, spesso addirittura patetiche.
Credo che la desertificazione dello sport non soltanto a Roma, sia dovuta anche a questo tipo di atteggiamenti che ritengo immorali e diseducativi anche da parte delle famiglie che hanno le loro responsabilità, tanto è vero che al giorno d’oggi siano in molti coloro che nella nostra città desiderano per i propri figli un futuro da calciatori e da veline.
No ai fumettismi e a oleografie ma è triste notare e confrontarsi con questo tipo di atteggiamenti e sentimenti che non sono sporadici ma la diretta conseguenza di pregiudizi radicati nella realtà romana che chiude ogni porta possibile alla Lazio.
Vi sono a oggi almeno venti discipline che sono lasciate morire e sono portate avanti soltanto dal cosiddetto “tignoso del villaggio” che non molla e porta avanti un certo discorso, parlando di baseball, ad esempio, dove la crisi è in atto da tempo, se un ragazzo in classe dice ai suoi amici che non gioca a calcio ma va all’Aquacetosa per giocare piuttosto che all’Arena Giulio Glorioso, (il diamante della SS Lazio Baseball e Softball 1949 che ha restituito alla città di Roma uno spazio dove praticare sport all’interno di un rapporto virtuoso con le istituzioni n.d.a.), rischia di essere scambiato per disadattato e ci è addirittura chi viene fatto oggetto di atti di bullismo e prese in giro.
È evidente mancare la cultura sportiva e si dovrebbe avere il coraggio da parte delle federazioni e dei privati di fare dei salti in avanti; di educare i giovani alla cultura sportiva a fronte di personalismi e conventicole che si sono creati nel tempo e che di fatto impediscono sia lo sviluppo delle discipline, che il rafforzamento di squadre che spesso faticano addirittura a iscriversi ai campionati nazionali ma anche ai tornei regionali e cittadini.
L’importanza della comunicazione nella cultura e nella formazione civica, dei mass media di oggi e della funzione di libri, manuali, storie, biografie, opere artistiche e quant’altro per diffondere il messaggio insito nello sport.
Per me è questo un aspetto fondamentale e imprescindibile, e purché vi sia su cosa informare predico nella Lazio una salvaguardia in tal senso per mettere la comunicazione a servizio di un fine pratico oltre che prettamente informativo.
La funzione “mazziniana” dei giornali è venuta meno, così come gli aspetti formativi dei mass media verso la pubblica opinione.
Stiamo andando sotto a ogni livello da diverso tempo, sia demograficamente che anche sui giornali sportivi storici, che per sacrosante ragioni di vendita hanno compromesso la missione informativa dei mass media che oggi sono appiattiti in maniera devastante sul calcio e sulla spettacolarizzazione.
Dal 1975 faccio parte del mondo Lazio e dal 1980/81 che sono dirigente ho assunto posizioni a volte radicali, specialmente negli ultimi anni, prendendo insegnamento ed esempio dal presidente Nostini, mio maestro e mentore alla Lazio, che considerava prioritario relazionarsi con il Coni, le Federazioni e le società affiliate; tutto il resto per il presidente era non voglio dire inutile, ma una sorta di cornice.
Una cornice certo importante, ma principalmente oggi come allora c’è più bisogno urgente di sostanza; un concetto forse se vogliamo un po’ ingeneroso, ma qui da noi oggi si preferiscono le cornici più che i quadri veri e propri. Da noi c’è chi comunica cosa facciano le sezioni e chi invece non facendosi vedere e sentire sembra non esistere.
Se le sezioni non hanno come riferimento una organizzazione spazio temporale specifica e ordinaria, rischiano di diventare per noi pur non volendo come una sorta di veleno mortale.
Senz’altro sono diventato nel tempo un po’ intollerante, ma l’esigenza odierna è di essere più organizzati e disciplinati da programmi in tal senso a medio e lungo termine è questo un lavoro su cui siamo costantemente impegnati.
A Roma non esiste un’industria privata che investa e finanzi lo sport, non vi sono ormai più i mecenati di un tempo, mentre il sostegno pubblico ridotto al lumicino non aiuta.
I finanziamenti pubblici sono gestiti disinvoltamente senza numeri illimitati e senza progettualità e soprattutto scevri da visioni unitarie. I privati preferiscono investire in settori commerciali considerati più remunerativi dello sport, mentre riguardo al mecenatismo c’è n’è molto poco.
I fondi europei ad esempio potrebbero spingere i privati ma purtroppo, come ci fanno notare le società sportive, non vanno incontro alle esigenze economiche delle stesse che prive di ossigeno stanno pian piano morendo, e ancora più gravemente non sostengono in maniera diretta l’attività agonistica, quella certo più dispendiosa senza la quale però non è più possibile praticare lo sport ma anche insegnarlo.
L’assistenzialismo fine a sé stesso, si è sperimentato e visto, serve a poco e lo dirò brutalmente: abbiamo bisogno di attrezzature, di tute, scarpe, corpetti, mazze, palle, palloni e sopratutto di spazi sportivi diversificati e smistati sul territorio dove permettere alla gente di praticare tutte le discipline.
Ma queste sono scelte che non competono alla Lazio, che si limita a fare ciò che può, a proporre progetti e a mettersi a disposizione del pubblico e dei privati che intendano dare il proprio contributo alla salvaguardia, sostegno e sviluppo dello sport. Un po’ come state facendo voi di Sport12.it.
Grazie presidente Buccioni per la sua cortesia e per il tempo che ci ha gentilmente dedicato.
Che dire oltre ragazze e ragazzi? Il dado è tratto: anche qui nello sport è tutto da rifare, ma la SS Lazio è pronta a dare il suo ormai consueto, storico contributo a una battaglia civica e culturale comune a tutti, e vieppiù alle future generazioni che da noi di oggi esigono slanci, idee e programmi rivolti principalmente sia a loro stessi, che al domani sportivo di Roma che dell’intera Italia sportiva.
Con l’auspicio che questa intervista non rimanga lettera morta, siete e siamo tutti noi che apparteniamo al mondo dello sport chiamati a una riflessione profonda che coinvolge tutte le parti in causa a porsi una domanda: cosa vogliamo fare dello sport italiano e cosa dei nostri figli e nipoti?
FINE
Stefano Lesti