Di Raffaele La Russa – La storia del Grande Torino iniziò prima della seconda guerra mondiale, precisamente nel 1939, quando Ferruccio Novo assunse la carica di presidente. Erano gli anni che precedevano la Guerra, e in quello stesso periodo un altro grande del nostro sport, Edoardo Agnelli, si riversava nel calcio. La sfida di Novo era quella di superare il gap con la Juventus. Fu lui ad inaugurare il calcio popolare e ad essere il primo vero manager. Spesso la sua figura è stata poco accostata a quello del Grande Torino, dando maggior risalto ai calciatori; il ruolo presidenziale di Novo invece è stato decisivo e fondamentale. Se il Torino è stata quella creazione, il merito non può che essere suo.

Il primo allenatore fu Ernest Erbstein, ungherese, promettente tecnico con una lunga militanza nella serie B.

Erbstein sposò il progetto Toro anche e soprattutto perché a Lucca, dove era l’allenatore, le figlie non potevano andare più a scuola, essendo loro una famiglia di ebrei. Fu così costretto ad andare a Torino.

La sua storia fu concitata: durante la guerra tornò in Ungheria, ma poi fu portato in un campo di concentramento, dove riuscì a scappare. Cambiò identità poco dopo e fece ritorno a Torino, ancora sulla panchina granata nel 1948. A lui si devono gli acquisti di Valentino Mazzola e Loik, nel 1942. Nel campionato 39-40, il Toro arrivò sesto. Al termine del campionato iniziarono i primi acquisti: Ossola, 18 anni, prelevato dal Varese per 55mila lire.

Il motto di Novo era che nel calcio prima si comprava e più si risparmiava.

Nel 1940 l’Italia entrò in guerra e i calciatori andarono a lavorare nelle fabbriche per produrre le armi per i soldati.

L’anno successivo, Novo acquistò altri 5 calciatori: Menti, Ferraris II, Gabetto, Borel e Bodoira (questi ultimi 3 dalla Juventus).

In quell’anno si ebbe uno storico cambiamento per il calcio italiano: venne introdotto il “Sistema”, proprio da Novo, che sostituì il cosiddetto “Metodo”.

Il Sistema si era affermato in Inghilterra qualche anno prima. Prevedeva il modulo 3-2-2-3, detto anche WM, sostituendo il 2-3-2-3 (anche detto WW).

I risultati si videro nel 1943, quando il Torino vinse il primo scudetto. L’allenatore era un altro ungherese, Andreas Kuttik.

Pochi sanno che nel 1944, con la guerra in corso, si divise l’Italia del nord in gironi per evitare lunghi viaggi.

Un caso emblematico fu quello di Silvio Piola, bomber dell’epoca: giocava nella Lazio, e quando provò ad andare a prendere la famiglia a Vercelli per trasferirsi, fu bloccato in Piemonte dall’armistizio, e fu costretto così ad accettare di giocare con il Torino.

Inoltre il girone granata fu vinto dallo Spezia, che si sarebbe aggiudicato il campionato. In realtà alla fine della guerra, si decise di annullare quel campionato perché fuori dalle norme e il titolo non venne assegnato.

Lo Spezia si vide così sottratto uno scudetto.

Dal 1945, quando la guerra finì e il campionato riprese, il Torino vinse ben 4 scudetti consecutivi fino al maggio del 1949. Il simbolo della squadra fu Valentino Mazzola, considerato il giocatore più forte dell’epoca.

Tutti volevano invitare il Torino a giocare contro di loro. Un curioso caso avvenne in Svizzera: Gabetto fu trovato con la valigia piena di sigarette; il pullman della squadra venne inseguito dai finanzieri, che per rilasciarlo, pretesero di giocare un’amichevole contro di loro.

Tra il 30 aprile e il 4 maggio 1949 accadde di tutto: il Torino capolista va a giocare a San Siro contro l’Inter in vantaggio di 4 punti.

Per il giorno dopo, il club viene invitato a Lisbona in occasione dell’ultima partita da calciatore di Francisco Ferreira, capitano del Benfica.

Egli Volle invitare Mazzola e i compagni per riempire lo stadio (aveva pensato anche al Bologna di Dall’Ara, ma alla fine decise per la squadra piemontese, che attirava di più i tifosi).

Novo pose la condizione che la squadra sarebbe andata in Portogallo solo se non avesse perso contro l’Inter. La partita terminò 0-0.

Il 1°maggio la squadra partì per Lisbona. Gli unici a restare a casa furono Tomà per infortunio, Gandolfi, secondo portiere che si vide soffiare il posto per la trasferta da Dino Ballarin, fratello di Aldo. Rimase a Torino anche Novo. Gli allenatori erano Lievesley e Erbstein, che dopo la guerra era tornato. Partirono assieme alla squadra anche tre giornalisti, tra cui il fondatore di Tuttosport, Renato Casalbore, Renato Tosatti e Luigi Cavallero. Incredibile la storia di Nicolò Carosio, che era stato invitato dalla società, ma dovette rinunciare per la cresima del figlio.

La partita si concluse 4-3 per i portoghesi, al termine di una gara spettacolare che fece divertire tutto il pubblico presente.

L’aereo ripartì il 4 maggio, con atterraggio previsto a Milano. Come fece a schiantarsi sulle colline di Superga, vicino Torino, nessuno lo seppe mai: sicuramente fu disturbato da una fitta nebbia.

Alle 17.05, l’aereo del Grande Torino si schiantò contro i muraglioni dietro la basilica di Superga. Non ci furono sopravvissuti tra le 31 persone a bordo.

Tutto il mondo fu scosso dalla terribile notizia. Ai funerali parteciparono un milione di persone. Tantissimi furono gli omaggi e i riconoscimenti per la squadra che aveva stregato il mondo intero.

Le rimanenti 4 partite vennero disputate dalla squadra primavera, contro i pari età schierati dagli avversari.

Furono 4 vittorie e il Torino vinse anche quello scudetto, il quinto consecutivo. Ormai però la squadra non esisteva più.

Dopo di loro nulla fu come prima. Con l’inizio degli anni 50′ cambiò il modo di vivere nel Paese e di conseguenza cambiò anche il calcio.

Del Grande Torino molto si è detto in questi anni. L’attaccamento e l’affiatamento tra i giocatori di quella squadra restano unici; con loro morì anche il Sistema, perché nessuno seppe utilizzarlo meglio di come fecero loro.

Raffaele La Russa

 

Sharing is caring!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *