Di Francesca Giambalvo – Il bullismo… Se ne parla molto, video e informazioni sono visibili, ogni giorno, per divulgare conoscenze di questo fenomeno che attanaglia il paese in una morsa senza speranza. Vittima e carnefice sono i protagonisti indiscussi delle vicende di bullismo. Più o meno noti, a seconda dei casi, sono i testimoni e cioè coloro che si aggregano nelle vessazioni ma anche coloro che, pur assistendo a tali scene, non intervengono rendendosi complici silenziosi. Attorno a questo scenario piuttosto visibile si affiancano altri elementi: le famiglie, da un lato quelle dei “bulli” e dall’altro quelle delle “vittime”, e le diverse realtà educative nelle quali i ragazzi si sperimentano, come la scuola, lo sport, i gruppi scout.

Un classico all’italiana è la corsa a chiedersi “di chi è la colpa di questi comportamenti violenti?”. “Ragazzi alla deriva… come siamo potuti arrivare a tanto?”. Domande lecite ma che riportano ad un modo di osservare e di agire stantio perché basato sui fatti avvenuti anziché lavorare per evitare che il dramma si compia.

Gli adulti: quali responsabilità?

Gli adulti che accompagnano il quotidiano di questi ragazzi e ragazze hanno una loro responsabilità, fatta non solo di partecipazione ma anche di educazione verso i valori della comunità e del singolo. Sempre più spesso le famiglie demandano educazione e responsabilità a terzi con la pretesa però che si seguano precise regole. Ed è così che i professori vengono aggrediti se mettono una nota o gli allenatori insultati se non schierano in campo il figlio. Si demanda. Si vive in un tempo di delega, dove è chiesta ad altri la capacità di educare e dove si cerca la responsabilità di eventi tragici altrove. Occorre iniziare a pensare che non è così che funziona. Le interazioni tra genitori e figli sono diventate sempre più paritarie dove il ruolo di genitore si è definito sull’accondiscendenza, spesso travolto dalle richieste della società che impone una logica del consumo e dell’ultima moda, scalzando invece quei “NO” che, se detti bene, aiutano a crescere e a far capire ai ragazzi i confini di una relazione, di una richiesta o di un capriccio. Con l’adolescenza si entra inevitabilmente in una fase che richiede agli adulti la capacità di essere solidi, fermi e coerenti.

Perché prevenire è meglio che curare.

Sul piano psicologico c’è comune accordo nel ritenere fondamentale prevenire il “disagio”, qualunque esso sia. Attraverso una prevenzione sistematica che parta dalle radici, dalle famiglie quindi, e che coinvolga le realtà educative parallele. C’è bisogno di un lavoro che sia congiunto e coerente. Ai genitori, educatori per eccellenza, è richiesto soprattutto un tempo qualificato da dedicare per conoscere, partecipare, costruire, condividere e seguire attivamente i ragazzi. Educare alla condivisione, a parlare delle proprie emozioni fin dalla tenera età. A dare loro un nome. A saperle riconoscere e a comprendere che mettersi nei panni dell’altro è possibile se lo si insegna e lo si pratica fin da bambini. Perché bulli e vittime manifestano, nelle loro diversità, difficoltà e fragilità emotive ed affettive.

Sicuramente un altro grande cambiamento richiesto agli adulti è la capacità di imparare a leggere in maniera diversa gli eventi. Non soltanto puntare il dito per cercare la colpa o per affermare che i ragazzi di oggi sono ingestibili occorre ridefinire le regole, applicarle e fare in modo che si osservino nella propria famiglia, e porsi come dialoganti che sanno sia chiedere ma anche ascoltare, seriamente, quello che gli altri, adulti e non, hanno da dire.

Dott.ssa Francesca Giambalvo – Psicologa, consulente in psicologia dello sport www.francescagiambalvo.it

fonte foto pixabay

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